Un "cimitero" Audi e Volkswagen nel deserto: sono migliaia

Nel deserto del Mojave migliaia di Audi e Volkswagen sono abbandonate: ecco come il Dieselgate ha cambiato l'industria automobilistica

Di Renato Terlisi
Pubblicato il 11 ago 2025
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Nel cuore della California, sotto il sole implacabile e tra le dune polverose, si cela uno spettacolo surreale che racconta una delle pagine più oscure della storia dell’automobile. Migliaia di veicoli, tra cui spiccano le inconfondibili sagome di Volkswagen e Audi, giacciono immobili nel vasto deserto del Mojave. Queste “auto fantasma” sono la testimonianza concreta di un inganno senza precedenti, un’ombra che ancora oggi si allunga sull’intero settore automobilistico.

Tutto ha avuto inizio nel 2015, quando l’agenzia americana per la protezione ambientale, la EPA, ha sollevato il velo su uno scandalo che avrebbe travolto l’industria mondiale: il Dieselgate. I tecnici dell’EPA scoprirono che milioni di vetture prodotte dal gruppo tedesco erano dotate di un software truccato, un sistema informatico capace di riconoscere le condizioni di test sulle emissioni e di modificarne i parametri solo in quei momenti. Così, le auto superavano agevolmente i controlli ufficiali, ma una volta su strada, le emissioni di ossidi di azoto schizzavano fino a quaranta volte oltre i limiti consentiti dalla legge americana.

La frode gigantesca

La portata della frode fu gigantesca: si stima che siano stati coinvolti circa 11 milioni di veicoli in tutto il mondo, con oltre mezzo milione solo negli Stati Uniti. Per ben sette anni, dal 2008 al 2015, i motori diesel di Volkswagen e Audi hanno circolato impunemente, contribuendo a un inquinamento atmosferico di cui solo dopo si sarebbero compresi gli effetti reali sulla salute pubblica.

La risposta delle autorità americane fu immediata e severa. La giustizia statunitense non concesse sconti al colosso tedesco, imponendo un massiccio riacquisto auto di tutti i veicoli non conformi. In totale, più di 300.000 automobili – molte delle quali praticamente nuove – vennero ritirate dal mercato e accatastate in enormi spazi di stoccaggio. Il più iconico di questi “parcheggi” si trova proprio nel deserto del Mojave, dove interminabili file di vetture formano un paesaggio quasi post-apocalittico, una distesa silenziosa che riflette il prezzo dell’inganno.

Non è un caso unico

Ma il cimitero delle auto del Mojave non è un caso isolato. Per gestire l’emergenza, il gruppo tedesco ha dovuto allestire circa quaranta siti di stoccaggio sparsi per gli Stati Uniti, trasformando luoghi insoliti come uno stadio di football a Detroit o una cartiera abbandonata in Minnesota in depositi improvvisati per queste vetture compromesse. Questi luoghi sono diventati il simbolo materiale delle conseguenze di una strategia aziendale spregiudicata.

Il costo complessivo dello scandalo Dieselgate per Volkswagen è stato astronomico: tra multe, risarcimenti e spese di gestione, la cifra ha superato i 33 miliardi di dollari. Tuttavia, il danno più profondo non è stato solo economico, ma anche reputazionale. La fiducia dei consumatori nei confronti della tecnologia diesel è crollata, mentre numerosi studi hanno dimostrato come le emissioni effettive abbiano contribuito in modo significativo all’aumento dell’inquinamento atmosferico, con impatti concreti sulla salute delle persone.

Un monito per tutti

L’onda lunga del Dieselgate ha accelerato la transizione verso soluzioni più sostenibili, spingendo l’industria automobilistica a investire con maggiore decisione nell’ibrido e nell’elettrico. Le immagini delle automobili abbandonate nel deserto del Mojave sono diventate un potente monito per il settore: la ricerca del profitto a tutti i costi può portare a scelte eticamente discutibili, le cui conseguenze si riverberano ben oltre le sanzioni economiche e le aule di tribunale.

Oggi, questi cimiteri delle auto non sono solo il risultato di una frode, ma rappresentano un vero e proprio memoriale della disonestà industriale. Restano lì, immobili sotto il sole, a ricordare quanto possa essere fragile la fiducia e quanto alto sia il prezzo da pagare quando l’etica viene sacrificata sull’altare del business. L’eco di questo scandalo risuona ancora oggi, come un avvertimento per chiunque sia tentato di anteporre l’interesse immediato alla responsabilità collettiva verso l’ambiente e la società.

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