Portiere salvaciclisti, ADAS e piste ciclabili: la proposta ADFC

L'ADFC propone portiere salvaciclisti obbligatorie come ADAS per ridurre il "dooring". Tecnologia e infrastrutture: dal Renault Clio 6 all'iter normativo europeo, opportunità e criticità spiegate

Portiere salvaciclisti, ADAS e piste ciclabili: la proposta ADFC
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Renato Terlisi
Pubblicato il 18 dic 2025

Nel cuore delle città europee, il fenomeno degli incidenti causati dall’apertura improvvisa delle portiere delle auto – noto come portiere salvaciclisti – continua a rappresentare una seria minaccia per la sicurezza degli utenti più vulnerabili della strada. I dati parlano chiaro: solo nel 2024, a Berlino si sono registrati 435 incidenti e a Colonia 120, tutti riconducibili a questo pericolo troppo spesso sottovalutato. Un trend allarmante che ha spinto l’ADFC, l’associazione nazionale dei ciclisti tedeschi, a proporre una svolta: rendere obbligatorio, su tutti i nuovi veicoli, un sistema di sicurezza ADAS capace di rilevare la presenza di ciclisti e bloccare l’apertura delle portiere in situazioni di rischio. Una proposta che mette al centro la protezione degli utenti della strada e apre la strada a una nuova stagione di innovazione tecnologica, pur consapevole che la tecnologia, da sola, non può risolvere un problema tanto complesso senza una revisione strutturale dell’urbanistica cittadina.

La tecnologia è già realtà, ma ancora poco diffusa

Non si tratta solo di teoria: alcune case automobilistiche hanno già introdotto soluzioni avanzate per la sicurezza ciclisti. Un esempio concreto è rappresentato dalla Renault Clio 6, che integra sensori radar, telecamere e sofisticati algoritmi di riconoscimento. Il funzionamento è intuitivo: il sistema rileva la presenza di veicoli, motociclette o biciclette in prossimità e avvisa immediatamente il conducente tramite segnali acustici e visivi. Nelle versioni più evolute, il dispositivo può addirittura impedire meccanicamente l’apertura della portiera fino al passaggio del pericolo. Nonostante l’efficacia di queste tecnologie, la loro diffusione resta ancora limitata e circoscritta a pochi modelli di fascia medio-alta, lasciando la maggior parte degli automobilisti e dei ciclisti privi di una protezione realmente efficace.

Un fenomeno europeo sottostimato

Il cosiddetto “dooring” non è una questione isolata, ma un rischio concreto e quotidiano in molte città europee. Seppur manchino dati statistici completi e aggiornati a livello continentale, le segnalazioni raccolte nelle principali metropoli dimostrano che il problema è molto più diffuso di quanto i numeri ufficiali suggeriscano. In questa dinamica, i ciclisti e gli altri utenti deboli della strada risultano le vittime più frequenti, spesso con conseguenze fisiche e psicologiche di notevole gravità. La necessità di interventi mirati appare dunque imprescindibile, sia sul fronte della prevenzione che su quello della gestione delle emergenze.

Normative e ostacoli industriali: la strada è ancora lunga

L’introduzione obbligatoria di sistemi ADAS anti-dooring non è priva di ostacoli. I costruttori automobilistici, infatti, evidenziano le difficoltà e i costi legati all’integrazione su larga scala di queste tecnologie, soprattutto nei segmenti di mercato più accessibili. Dall’altro lato, le amministrazioni pubbliche sono chiamate a valutare se incentivare economicamente tali innovazioni o puntare su regolamentazioni stringenti. A livello legislativo, la situazione è complessa: un cambiamento di questo tipo richiede il coordinamento con enti europei e internazionali responsabili della definizione degli standard di sicurezza veicolare. L’iter per una normativa vincolante è quindi ancora lungo e incerto, anche se la pressione delle associazioni e dei cittadini potrebbe accelerare il processo.

Infrastrutture e cultura della sicurezza: un approccio integrato

Anche l’ADFC sottolinea come la sola tecnologia non sia sufficiente. Interventi sulle piste ciclabili, la realizzazione di corsie protette e campagne di educazione stradale rappresentano elementi fondamentali per una strategia efficace. Un approccio integrato, che combini l’innovazione dei sistemi di portiere salvaciclisti con una pianificazione urbana intelligente e una formazione continua degli utenti della strada, è l’unica via percorribile per ridurre davvero i rischi. In questo scenario, i comuni giocano un ruolo centrale: solo attraverso scelte urbanistiche consapevoli e una mobilità sostenibile si può sperare di invertire la tendenza degli incidenti.

Prospettive future e incertezze

Al momento, non è possibile prevedere se la proposta tedesca si trasformerà in una direttiva vincolante a livello europeo. La mancanza di dati completi e standardizzati rende difficile una valutazione precisa, ma l’azione dei singoli Stati o le scelte volontarie dei costruttori potrebbero comunque accelerare la diffusione di questi sistemi di sicurezza. In Italia, il dibattito resta ancora concentrato sulla necessità di ampliare e migliorare le piste ciclabili, ma l’adozione di tecnologie come quelle suggerite dall’ADFC potrebbe rappresentare un ulteriore strumento di tutela per chi ogni giorno sceglie la bicicletta come mezzo di trasporto. La sfida è aperta e il futuro della mobilità urbana dipenderà dalla capacità di integrare tecnologia, infrastrutture e cultura della sicurezza in un unico, ambizioso progetto.

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