Italia e Germania, appello congiunto per rivedere il Green Deal sulle auto

Italia e Germania chiedono alla UE una revisione del Green Deal e del divieto dei motori a combustione 2035, puntando su sostenibilità economica, sociale e infrastrutturale

Italia e Germania, appello congiunto per rivedere il Green Deal sulle auto
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Giorgio Colari
Pubblicato il 7 ott 2025

Il conto alla rovescia verso il 2035 è già cominciato. A meno di dieci anni dallo stop imposto da Bruxelles alla vendita di nuove auto a benzina e diesel, qualcosa comincia a scricchiolare. Non nei laboratori di ricerca, ma nelle cancellerie dei governi. Italia e Germania hanno rotto gli indugi e inviato un messaggio chiaro alla Commissione europea: la transizione green così com’è non sta funzionando, e rischia di mettere in ginocchio due delle principali economie del continente.

Una lettera che pesa

Il segnale arriva direttamente da Roma e Berlino. Giorgia Meloni e Friedrich Merz hanno sottoscritto una lettera inviata alle istituzioni Ue per chiedere una revisione profonda delle politiche industriali legate all’automotive. Le parole usate non lasciano spazio a interpretazioni: il Green Deal, almeno nella sua applicazione attuale, non è sostenibile, né economicamente né socialmente.

«Siamo a un punto di svolta», ha dichiarato il ministro delle Imprese Adolfo Urso, «e l’industria europea non può permettersi altri errori». Il riferimento è a un sistema produttivo messo in crisi da norme troppo rapide e scollegate dalla realtà del mercato. Mentre il settore arranca tra chiusure, delocalizzazioni e casse integrazioni, le istituzioni continuano a inseguire un modello teorico che non regge alla prova dei fatti.

Tra crisi industriale e concorrenza sleale

Da quando la Commissione ha fissato la deadline del 2035, l’industria europea ha avviato una rincorsa verso l’elettrico. Ma le regole le ha dettate, in pratica, il mercato cinese, che ha saputo sfruttare meglio il momento, producendo veicoli elettrici a basso costo e occupando spazi che un tempo erano saldamente europei.

Stellantis e Volkswagen, tra i primi gruppi a investire nella transizione, si trovano ora in affanno: la domanda di auto elettriche non decolla come previsto e l’offerta non riesce a combaciare con le esigenze (e le tasche) degli automobilisti. Risultato: produzione tagliata, stabilimenti svuotati, lavoratori in bilico.

Nel frattempo, le infrastrutture arrancano. La rete di ricarica in molti Paesi europei, Italia compresa, è ancora largamente insufficiente, nonostante gli investimenti. Gli incentivi statali non bastano a colmare il divario tra un’auto elettrica da listino e la capacità di spesa media delle famiglie. E la promessa di una “E-car popolare” resta, per ora, una frase fatta più che una realtà in arrivo.

Verso un cambio di paradigma?

Italia e Germania chiedono ora un tavolo strategico per rivedere i termini della transizione. Il punto non è abbandonare la sostenibilità, ma ripensare tempi e modalità. Aprendo anche a soluzioni alternative, come i biocarburanti e i carburanti sintetici, in grado di garantire basse emissioni senza cancellare di colpo la motoristica tradizionale.

Le due potenze industriali europee puntano a una transizione più graduale, meno ideologica e più pragmatica. Il problema non è il futuro elettrico, ma il presente che si fatica a gestire.

Nel frattempo, a Bruxelles, la linea non cambia. Ursula von der Leyen, nel suo discorso sullo stato dell’Unione, ha ribadito l’obiettivo: “Il futuro sarà elettrico e l’Europa deve farne parte”. Una dichiarazione netta, ma che rischia di ignorare la realtà di un settore ancora lontano dal potersi reggere sulle proprie gambe in un mercato libero e competitivo.

Tutto ancora da decidere

La battaglia è appena cominciata. Il pressing dell’asse italo-tedesco potrebbe spingere la Commissione a rivedere almeno alcune scadenze e condizioni. Altrimenti, sarà il mercato stesso – con le sue crepe e i suoi numeri – a presentare il conto.

Nel frattempo, milioni di automobilisti continuano a preferire la vecchia auto termica, mentre i concessionari guardano i piazzali pieni di elettriche invendute. Altro che rivoluzione: qui serve realismo, prima che il Green Deal diventi un boomerang economico.

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