Dieselgate, l'incubo non è finito: cinque brand nel mirino

Il processo Dieselgate nel Regno Unito coinvolge Ford, Stellantis, Mercedes Benz, Nissan e Renault per presunte manipolazioni dei test sulle emissioni NOx; 1,6 milioni di proprietari coinvolti

Dieselgate, l'incubo non è finito: cinque brand nel mirino
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Giorgio Colari
Pubblicato il 13 ott 2025

Dieci anni fa il Dieselgate sembrava un fulmine a ciel sereno. Una falla nella facciata lucidata dell’industria automobilistica: Volkswagen, software che truccava i risultati, emissioni reali che si rivelavano ben più nocive di quelle dichiarate, scandalo globale. Oggi, quel fantasma sembra tornato, con un nuovo capitolo che si apre davanti alla High Court di Londra. Cinque grandi marchi (Mercedes‑Benz, Ford, Renault, Nissan e Peugeot/Citroën) sono ora sotto accusa per presunti dispositivi di manipolazione dei test diesel — gli stessi “defeat devices” che nel 2015 misero a soqquadro non solo i regolamenti, ma anche la fiducia dei consumatori.

L’accusa: test truccati, salute tradita

Il procedimento, iniziato il 13 ottobre 2025 presso la High Court di Londra, coinvolge oltre 1,6 milioni di proprietari di veicoli diesel che denunciano di essere stati ingannati. Secondo loro, le case automobilistiche avrebbero installato software in grado di riconoscere quando l’auto è sotto test e modificare le prestazioni — così da apparire conformi, pur emettendo molto di più durante l’uso reale. Nitrogen‑oxidi (NOx), particolato, salute pubblica: il danno non è solo tecnico, ma umano.

Le aziende incriminate negano. Parlano di tecnologie lecite, di complessità ingegneristiche, di incomprensioni sulle regole — persino di assenza di prove che quei dispositivi fossero intenzionalmente illegali.

L’ampiezza dello scandalo

Non è un caso isolato: il numero dei veicoli coinvolti, il valore economico delle richieste di risarcimento — stimato in miliardi di sterline — e la gravità politica e sociale riportano Dieselgate sotto i riflettori. Alcune fonti parlano di richieste che potrebbero superare le £6 miliardi se l’accusa venisse confermata.

E non finisce qui: altri produttori (tra cui Opel/Vauxhall, Volkswagen, BMW, Jaguar Land Rover, Hyundai/Kia, Toyota e altri) sono anch’essi coinvolti in procedimenti analoghi, oppure potrebbero esserlo in futuro, se la sentenza dovesse far giurisprudenza.

La posta in gioco: oltre il denaro

L’elemento forse più grave non è il costo in sterline, ma la perdita di credibilità diffusa. Due terzi dei consumatori nel Regno Unito, in sondaggi recenti, hanno ammesso di non fidarsi più delle case automobilistiche quanto alle promesse sull’impatto ambientale. La sfiducia non si compra con le scuse e non si neutralizza con i comunicati stampa: serve trasparenza, serve che le promesse non siano solo numeri su carta.

Scenari possibili: processo e (forse) risarcimento

Il processo di Londra durerà alcuni mesi: tre mesi per stabilire se le “lead defendants”, i cinque marchi principali, abbiano davvero usato dispositivi illegali. L’udienza principale dovrebbe concludersi entro la fine dell’anno, ma le argomentazioni legali più complesse verranno vissute nel 2026. Sentenza attesa per l’estate dello stesso anno.

Se condannate, le case dovranno rispondere non solo con risarcimenti milionari, ma forse con richiami, modifiche tecniche, richieste di trasparenza regolatoria più forte. Un accordo extragiudiziale è possibile, come già successo in altri casi (anche per VW), ma molti vorrebbero che questa volta non si chiudesse tutto in un “patto” che non sposti radicalmente le cose.

La questione non è chiusa

Questo nuovo capitolo dimostra che la questione non è archiviata. L’industria automobilistica rischia di trovarsi di nuovo sotto il peso delle proprie scelte, dove la legge, i test, l’eticità e la salute pubblica diventano protagonisti. I regolatori sono chiamati a fare lo stesso: capire se le norme attuali sono sufficienti, se vengono rispettate, se i controlli reali (oltre quelli da laboratorio) siano abbastanza stringenti.

Per i consumatori, la speranza è che ci sia giustizia — non solo economica, ma riparativa in termini di fiducia. Per un marchio, perdere credibilità costa molto più di perdere market share. Questo processo è molto più di un dibattito legale: è un banco di prova per l’intera industria. Perché, se l’accusa di usare dispositivi di manipolazione verrà confermata, cambierà il modo in cui le auto vengono progettate, testate e vendute. E alla fine, il Dieselgate originario non sarà solo un ricordo di scandalo, ma la base per nuove regole, nuove verifiche e — si spera — un impegno reale che non si limiti alle parole.

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