Multata mentre paga il parcheggio, ora deve adire il giudice di pace

Scopri il caso di un'automobilista multata a Pistoia mentre pagava il parcheggio: tra burocrazia, ricorsi e assenza di buon senso

Multata mentre paga il parcheggio, ora deve adire il giudice di pace
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Giulia Darante
Pubblicato il 23 set 2025

La rigidità amministrativa spesso si scontra con la realtà quotidiana dei cittadini, dando vita a situazioni che sfiorano l’assurdo. È il caso emblematico avvenuto a Pistoia, dove una semplice sosta a pagamento si è trasformata in una battaglia contro la burocrazia più cieca, mettendo in luce i limiti di un sistema che, invece di tutelare il buon senso, sembra ostinato a privilegiare regole inflessibili e procedure standardizzate.

La vicenda

La vicenda ha come protagonista l’avvocata R.F., una professionista pistoiese che, in un caldo pomeriggio di giugno, si trova costretta a fare i conti con un parchimetro malfunzionante. Dopo aver parcheggiato la sua auto nella zona di Porta al Borgo, la donna si reca prontamente al dispositivo per pagare la tariffa oraria. Tuttavia, a causa di un evidente problema tecnico, il pagamento richiede più tempo del previsto.

Ed è proprio in quegli attimi di attesa che si consuma l’episodio chiave: un’ausiliaria del traffico – figura sempre più centrale nella gestione della sosta a pagamento nelle città italiane – si avvicina e, senza indugio, compila una multa. La particolarità? Sia il ticket del parcheggio sia il verbale riportano lo stesso minuto esatto. Nonostante questa evidente coincidenza temporale, la professionista si vede recapitare la sanzione, con la motivazione che il pagamento non risultava ancora visibile al momento del controllo.

Un confronto civile

Il confronto tra l’automobilista e l’addetta si svolge in modo civile, ma la disponibilità all’ascolto sembra mancare del tutto. L’ausiliaria, infatti, si limita a consigliare di presentare un ricorso formale, rifiutando di annotare la spiegazione fornita sul posto. Questo primo ostacolo, apparentemente banale, si trasforma presto in un vero e proprio percorso a ostacoli all’interno della macchina amministrativa.

Determinata a far valere le proprie ragioni, R.F. sceglie la strada dell’autotutela, presentando una richiesta al comando competente. La risposta, tuttavia, arriva sotto forma di una comunicazione standard, in cui si legge che “le motivazioni relativamente alla fattispecie contestata non sono valutabili dal comando accertatore”. Una formula burocratica che sembra celare una totale indisponibilità a riconoscere la palese ingiustizia subita, preferendo trincerarsi dietro procedure impersonali.

Ricorso al giudice di pace

A questo punto, le alternative a disposizione del cittadino si riducono a due, entrambe tutt’altro che semplici. Da una parte c’è la possibilità di rivolgersi al giudice di pace, con la prospettiva di affrontare costi legali non trascurabili e senza la certezza di ottenere il rimborso delle spese sostenute. Dall’altra, il ricorso al prefetto, soluzione formalmente gratuita ma che comporta il rischio, in caso di rigetto, di vedere addirittura raddoppiata la sanzione originaria.

La storia vissuta a Pistoia non rappresenta un’eccezione, ma piuttosto la regola in un’Italia dove i disservizi dei parchimetri e l’inflessibilità degli ausiliari del traffico sono all’ordine del giorno. La sensazione diffusa tra gli automobilisti è che, di fronte a una multa – anche quando manifestamente ingiusta – il percorso di ricorso sia così complesso, oneroso e stressante da scoraggiare chiunque dal tentare di far valere le proprie ragioni. Si alimenta così un clima di frustrazione e sfiducia nei confronti delle istituzioni, percepite come distanti e poco inclini al dialogo.

Burocrazia imperante

Questo caso mette in discussione il delicato equilibrio tra il rispetto rigoroso delle norme e la necessità di applicare il buon senso, soprattutto in situazioni in cui la ragionevolezza dovrebbe prevalere. Quando la burocrazia diventa un muro invalicabile, anche le questioni più semplici rischiano di trasformarsi in contenziosi inutili, con costi e conseguenze sproporzionate rispetto all’infrazione contestata.

In conclusione, la vicenda di Pistoia non è solo la storia di una multa ingiusta, ma il simbolo di un sistema che troppo spesso preferisce applicare le regole in modo cieco, dimenticando che dietro ogni ticket e ogni sanzione c’è una persona, con le sue ragioni e le sue difficoltà. Un monito per chi gestisce la sosta a pagamento e per le amministrazioni pubbliche, affinché il buon senso torni a essere un principio guida e non un’eccezione da tollerare a fatica.

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