"GP2 Engine", il difficile ritorno di Honda in F1 con McLaren
Il ritorno di Honda in F1 nel 2015 con la RA615H e McLaren: scelta size zero, problemi di raffreddamento, MGUH nella V e la successiva rinascita con Red Bull
Il mondo della Formula 1 è costellato di lezioni tecniche che segnano il confine tra successo e fallimento. Tra queste, l’esperienza vissuta con la RA615H rappresenta un monito senza tempo: la ricerca di un compromesso estremo, seppur motivata dalle migliori intenzioni, può trasformarsi in un boomerang tecnico e sportivo. La collaborazione tra Honda e McLaren, iniziata con ambizioni stellari, si è rivelata un laboratorio di errori e ripensamenti che ancora oggi fanno scuola tra gli ingegneri del Circus.
Una scelta filosofica chiara
Tutto ebbe inizio con una scelta filosofica che avrebbe dovuto rivoluzionare la categoria: la cosiddetta size zero. Questo approccio, fortemente voluto da McLaren, imponeva una carrozzeria estremamente compatta, capace di garantire vantaggi aerodinamici unici. Tuttavia, tale priorità sacrificò la libertà di sviluppo meccanico, vincolando la progettazione della power unit a limiti quasi insormontabili. La RA615H fu così costretta a una configurazione interna che, sebbene elegante sulla carta, si rivelò ben presto una trappola tecnica.
La decisione cruciale riguardò il posizionamento di elementi chiave come il turbocompressore e l’MGUH all’interno della V del motore. Questa soluzione, pensata per esaltare la compattezza, generò una serie di problematiche a catena: il raffreddamento si dimostrò insufficiente, i flussi d’aria si interruppero nei condotti più critici e l’efficienza del sistema di recupero energetico risultò compromessa proprio nei momenti in cui la potenza era più necessaria, ovvero sui lunghi rettilinei.
Carenze strutturali evidenti
Fin dalle prime gare della stagione 2015, le carenze strutturali della RA615H vennero a galla con drammatica evidenza. Le temperature interne elevate acceleravano l’usura dei componenti, mettendo a dura prova l’affidabilità della power unit. I meccanici furono costretti a sostituire l’intera unità con una frequenza allarmante, accumulando penalità in griglia che relegarono due campioni del mondo a un ruolo di comparse. Quello che doveva essere il ritorno trionfale di Honda e McLaren si trasformò così in una lunga stagione di frustrazioni e promesse mancate.
Dal punto di vista tecnico, il vero tallone d’Achille non fu tanto la mancanza di potenza pura, quanto l’impossibilità strutturale di evolvere la componente ibrida. In un’epoca in cui il sistema ERS rappresentava il cuore pulsante della competitività, la limitazione nello sviluppo della parte elettrica risultò fatale. L’efficacia del recupero energetico diminuiva nelle fasi finali delle accelerazioni, compromettendo sia le prestazioni in qualifica che quelle in gara. Il divario rispetto ai rivali si fece incolmabile proprio nel momento in cui la Formula 1 stava vivendo la sua rivoluzione tecnologica.
Un rapporto deteriorato
Il rapporto tra team e motorista si incrinò irrimediabilmente quando fu chiaro che il compromesso aerodinamico imposto dalla size zero non lasciava spazio a ulteriori sviluppi. La rottura, però, non rappresentò la fine del sogno, ma piuttosto l’inizio di una nuova fase: Honda avviò una profonda revisione interna, investendo in ricerca e autonomia progettuale. Questi cambiamenti, apparentemente dolorosi, posero le basi per la rinascita che sarebbe culminata anni dopo con il trionfo al fianco di Red Bull.
Oggi la storia della RA615H è raccontata nei reparti corse come un ammonimento universale: la perfezione teorica, senza un bilanciamento tra esigenze aerodinamiche e sostenibilità tecnica, può diventare un vicolo cieco. La vera lezione che emerge da questa vicenda è che, in Formula 1, l’equilibrio tra ambizione estetica e sviluppo pragmatico rimane il vero discrimine tra gloria e fallimento. La parabola di Honda, passata attraverso l’inferno della collaborazione con McLaren e risorta con Red Bull, testimonia quanto sia fondamentale saper apprendere dai propri errori e reinventarsi, anche quando il prezzo da pagare sembra insostenibile.