Ferrari, rivendita vietata: il caso Carlson accende il dibattito sulla libertà dei proprietari

Ferrari Purosangue, il caso Carlson accende il dibattito sulle restrizioni contrattuali imposte dai brand di lusso ai proprietari.

Di Giorgio Colari
Pubblicato il 11 set 2025
Ferrari, rivendita vietata: il caso Carlson accende il dibattito sulla libertà dei proprietari

Il mondo delle auto di lusso è spesso teatro di vicende che mettono in discussione il sottile equilibrio tra esclusività e diritto di proprietà. È proprio questo il caso che vede contrapposti Todd Carlson, facoltoso collezionista texano, e la celebre casa automobilistica di Maranello. Al centro della disputa, una nuovissima Ferrari Purosangue, l’attesissimo SUV a quattro porte e quattro posti, che ha catalizzato l’attenzione degli appassionati di tutto il mondo e acceso il dibattito su quanto possa essere vincolante la volontà del costruttore rispetto a quella del cliente.

La controversia nasce da un episodio tanto semplice quanto emblematico: Todd Carlson, dopo aver ricevuto la sua esclusiva Ferrari Purosangue, ha deciso di metterla in vendita a un prezzo di circa 700mila dollari, ben superiore ai 429mila pagati in fase di acquisto. Un tentativo di speculazione reso possibile dalla straordinaria domanda per questo modello, dotato di un impressionante V12 aspirato da 6,5 litri, capace di erogare 725 cavalli e di accelerare da 0 a 100 km/h in appena 3,3 secondi. Tuttavia, questa operazione si è scontrata con le restrizioni contrattuali imposte da Ferrari al momento dell’acquisto.

Tutto ruota attorno all’Opportunity Agreement, un documento sottoscritto da Carlson al momento del versamento della caparra presso il concessionario Ferrari Houston. Questo contratto vietava espressamente la rivendita della vettura nei primi 18 mesi, a meno che non venisse restituita al dealer al prezzo originario. In caso di violazione, il proprietario sarebbe stato obbligato a restituire ogni profitto ottenuto e a farsi carico delle spese legali. Nonostante queste condizioni, Carlson ha tentato di sfruttare la forte richiesta di auto rare come la Purosangue per ottenere un guadagno immediato, violando così le regole stabilite da Ferrari.

Il fenomeno del flipping, ovvero l’acquisto e la rapida rivendita di veicoli di lusso a scopo speculativo, è ormai diffuso e rappresenta una vera e propria sfida per i costruttori di auto esclusive. Non è un caso che brand come Rolls-Royce abbiano adottato misure drastiche, arrivando a minacciare l’esclusione perpetua dai futuri acquisti per chi si renda protagonista di vendite premature, come accaduto con la Spectre elettrica. Analogamente, Ford ha intrapreso azioni legali contro celebrità come John Cena per la cessione anticipata della GT, mentre Tesla ha addirittura annullato ordini di clienti sospettati di voler speculare sul Cybertruck.

La strategia adottata da Ferrari, che ha deciso di intraprendere vie legali contro Carlson, solleva però una questione di fondo: fino a che punto un costruttore può limitare i diritti di proprietà dei propri clienti? Da una parte c’è la necessità di proteggere l’esclusività e il prestigio del marchio, dall’altra il principio giuridico che garantisce ai proprietari la libertà di disporre dei beni acquistati. Il caso in questione pone quindi un interrogativo cruciale per tutto il settore: è giusto imporre restrizioni contrattuali così stringenti in nome dell’immagine aziendale, anche a costo di limitare la libertà dei consumatori?

La risposta non è scontata, soprattutto in un mercato dove la domanda supera di gran lunga l’offerta. La produzione limitata della Ferrari Purosangue – si parla di appena 2.200-3.000 esemplari all’anno, già tutti assegnati fino al 2026 – contribuisce ad alimentare il desiderio di possesso e la tendenza alla speculazione. In questo contesto, le case automobilistiche si trovano a dover bilanciare la necessità di mantenere un’aura di esclusività con quella di tutelare i propri clienti e la reputazione del brand.

Il caso Todd Carlson rischia di diventare un precedente significativo, destinato a influenzare le politiche future nel mercato delle auto rare. Se la giustizia dovesse dare ragione a Ferrari, i costruttori avrebbero maggiore margine di manovra nell’imporre condizioni di vendita sempre più rigide, limitando di fatto la libertà di chi acquista. Al contrario, un verdetto favorevole al cliente potrebbe aprire la strada a una maggiore tutela dei diritti dei consumatori, ridefinendo il confine tra esclusività e diritto di proprietà.

La vicenda della Ferrari Purosangue e dell’Opportunity Agreement sottoscritto presso il concessionario Ferrari Houston rappresenta molto più di una semplice disputa legale: è il simbolo di una trasformazione in atto nel mondo delle supercar, dove il valore di un’auto non si misura solo in cavalli e prestazioni, ma anche nella capacità di un marchio di dettare le regole del gioco, preservando la propria unicità in un mercato sempre più competitivo e ambito.

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