Elon Musk vince in tribunale e ottiene 56 miliardi di risarcimento
La Corte Suprema del Delaware ha dichiarato improprio l'annullamento del pacchetto da 56 miliardi a Elon Musk, riaprendo il dibattito su governance, fiducia degli azionisti e remunerazioni multimiliardarie
La recente decisione della Corte Suprema del Delaware di confermare il colossale pacchetto retributivo da 56 miliardi di dollari destinato a Elon Musk riaccende i riflettori sulla governance delle grandi aziende tecnologiche e sulle dinamiche di potere che caratterizzano il mondo corporate. Una vicenda che va ben oltre i numeri, coinvolgendo principi di trasparenza, equilibrio tra gli interessi degli azionisti e responsabilità dei vertici, in un contesto in cui la maxi remunerazione dei top manager torna al centro del dibattito globale.
La Corte, con una sentenza emessa nel dicembre 2025, ha ribaltato la precedente decisione della giudice Kathaleen McCormick, che aveva annullato il piano retributivo approvato dal board di Tesla nel 2018 per presunte irregolarità procedurali. Al centro delle contestazioni, secondo la McCormick, vi erano informazioni incomplete o fuorvianti fornite agli azionisti e una eccessiva vicinanza tra il consiglio di amministrazione e il visionario fondatore della società. Tuttavia, la Suprema Corte non ha ignorato del tutto queste criticità: ha scelto di applicare la cosiddetta “business judgment rule”, che lascia spazio a rimedi alternativi rispetto all’annullamento totale del piano, ponendo così un importante precedente giuridico.
Il patron ha avuto ragione
Il pacchetto retributivo oggetto della controversia rappresenta uno dei più audaci e discussi della storia moderna delle società quotate. Legato a obiettivi di crescita straordinari per capitalizzazione di borsa e risultati strategici, il piano ha permesso a Elon Musk di non percepire compensi in denaro per sei anni, un aspetto che la Corte ha valutato positivamente nella proporzionalità della sua decisione. Questo schema di remunerazione, basato esclusivamente sul raggiungimento di traguardi aziendali estremamente ambiziosi, è stato visto da molti come un modello di incentivo per i leader visionari, ma allo stesso tempo solleva dubbi sulla sostenibilità e sull’equità di simili compensi rispetto al resto della forza lavoro e agli stessi azionisti.
La conferma del diritto di Elon Musk a ricevere i 56 miliardi di dollari – cifra che potrebbe essere ulteriormente superata dal nuovo piano approvato dagli azionisti, con un potenziale valore di 1.000 miliardi di dollari in azioni nei prossimi dieci anni – pone una serie di interrogativi cruciali. Da un lato, la sentenza garantisce stabilità e chiarezza ai grandi investitori istituzionali, che vedono nella decisione della Corte Suprema del Delaware un segnale di affidabilità del sistema. Dall’altro, alimenta il malcontento di molti piccoli azionisti e di una parte dell’opinione pubblica, preoccupati dalla concentrazione di potere e ricchezza nelle mani di un singolo individuo.
Un banco di prova importante
La questione della maxi remunerazione di Elon Musk diventa così un banco di prova per la governance societaria: le pressioni per una maggiore indipendenza dei consigli di amministrazione e per una trasparenza più rigorosa nei processi decisionali sono destinate a crescere. Gli analisti sottolineano come premi di tale entità possano minare la fiducia degli investitori di minoranza e rendano necessario un ripensamento delle regole che disciplinano la distribuzione del valore all’interno delle aziende, soprattutto in un settore come quello tecnologico dove la volatilità e la rapidità delle trasformazioni sono all’ordine del giorno.
Secondo diversi esperti di diritto societario e analisti finanziari, la sentenza della Corte Suprema del Delaware costituirà un riferimento imprescindibile per le future controversie legate a pacchetti retributivi multimiliardari. Non solo: la decisione è destinata a stimolare ulteriori ricorsi e a spingere il mercato, così come le istituzioni, verso l’adozione di meccanismi di controllo più stringenti. L’obiettivo? Bilanciare meglio gli interessi dei vertici aziendali con quelli degli azionisti e garantire una maggiore equità nella distribuzione della ricchezza generata dalle grandi imprese tecnologiche.