Dopo 69 immatricolazioni in sei mesi, cade l'ultimo store fisico

Polestar chiude l'ultimo showroom a Shanghai, punta sulla vendita online in Cina. Geely investe 200 mln e la Polestar 5 entra nella fascia premium con 880 CV

Dopo 69 immatricolazioni in sei mesi, cade l'ultimo store fisico
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Giorgio Colari
Pubblicato il 14 ott 2025

Sessantanove. No, non è un numero da barzelletta o da smorfia napoletana. È il totale delle auto vendute da Polestar in Cina nei primi sei mesi del 2025. Nemmeno cento, nemmeno una al giorno. E così, mentre l’industria elettrica cinese corre come una lepre impazzita e sforna modelli a batteria più velocemente di quanto un europeo riesca a pronunciare “autonomia WLTP”, la ex-stellina premium svedese controllata da Geely abbassa la serranda del suo ultimo showroom fisico a Shanghai e dice addio alla rete vendita nel Paese che un tempo sognava di conquistare.

Fine di un’epoca? Forse. Inizio di un’altra? Chissà. L’unica certezza è che Polestar chiude tutto e si rifugia online, come fanno quelli che escono dal ristorante senza pagare ma ti scrivono un messaggio su Instagram: “Non era aria”.

Quando vendi meno di una gelateria

Da anni il marchio si sforza di essere qualcosa di più di una Volvo dal vestito figo. Le intenzioni erano ottime, i numeri un po’ meno. In Cina, tra 2021 e 2024, non si è mai andati oltre le 3.200 unità annue. Una cifra modesta per un mercato che ne immatricola milioni, un po’ come aprire una gelateria in Sicilia e vendere quattro coni a stagione. E quest’anno è andata anche peggio.

Il motivo? Prezzi troppo alti, concorrenza locale spietata, identità di marchio che si è persa in mezzo a troppi “concept” e troppo pochi ordini reali. Il risultato è che Polestar rinuncia al contatto fisico con il cliente cinese. Addio showroom, addio vetrine, addio sorrisi dei venditori. Da oggi solo digitale: piattaforme online, configuratori virtuali e servizi post-vendita integrati. Sulla carta è una rivoluzione moderna, nella realtà un atto disperato.

Geely ci crede ancora (o almeno ci prova)

Nel frattempo, però, Geely – che in teoria è il papà buono dietro le quinte – decide di mettere ancora mano al portafoglio. Altri 200 milioni di dollari, questa volta investiti tramite una controllata personale di Li Shufu, il fondatore del gruppo. Una mossa che fa salire la quota di controllo al 66%, ma che tiene i diritti di voto sotto il 50%, così da evitare problemi con le governance e forse anche con qualche organismo di regolamentazione.

Polestar resta, almeno sulla carta, un asset strategico, anche se zavorrato da un debito che viaggia oltre i 7 miliardi di dollari. Sette. Miliardi. Un colosso fragile che ancora deve dimostrare di poter reggersi in piedi.

Ultima chiamata: Polestar 5

E allora ecco il piano B. O forse il piano D. Al Salone di Monaco è arrivata la Polestar 5, una GT elettrica da 880 cavalli, piattaforma in alluminio sviluppata nel Regno Unito, ricarica veloce, autonomia decente (480 km WLTC), e soprattutto una linea aggressiva. Un’auto che punta a impressionare chi cerca qualcosa di esclusivo. Ma basterà?

Perché se la Cina si dimostra allergica alla proposta premium scandinava, l’alternativa sarà concentrarsi altrove, trasformando il Paese in un hub produttivo, non più commerciale. Una mossa già vista, che non sempre ha portato bene (chiedere ad Aiways per conferma).

Al netto dei proclami digitali e dei teaser futuristici, il brand è in bilico. Senza punti vendita, con vendite in crollo e con il solo soccorso di papà Geely, la rinascita passerà tutta da un clic, e dalla capacità di convincere il cliente che sì, questa è ancora un’auto da desiderare. Ma in un mercato dove il desiderio dura quanto la carica di un powerbank cinese, la vera corsa è contro il tempo.

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