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Volkswagen Maggiolino: 75 anni fa iniziava la produzione di serie

Il 27 dicembre 1945 veniva ufficialmente dato il via all’assemblaggio dell’immortale modello che, prima di Golf, fu l’auto più venduta di sempre e che è capostipite di un continuo sviluppo industriale via via orientato verso la nuova mobilità elettrificata e digitale.

Dove da sempre si produce l’intera lineup Golf, cui in tempi più recenti sono andate aggiungendosi le rispettive “derivate” Tiguan e Seat Tarraco e nel primo storico “hub” industriale del Gruppo che si candida a diventare uno dei leader globali nella nuova mobilità all’insegna di elettrificazione e digitalizzazione, per più di trent’anni le linee di montaggio hanno sfornato milioni di “sorelline” accomunate dall’inconfondibile profilo gibboso e dagli altrettanto riconoscibilissimi parafanghi esterni. Le due caratteristiche-base di Volkswagen Maggiolino, che prima di “emigrare” in Messico (Guadalajara) ed a Sao Bernardo do Campo (Brasile) per un secondo capitolo della sua lunghissima vita, veniva assemblato a Wolfsburg.

Un progetto che sa di storia come pochi altri

Città dell’auto per eccellenza in Germania – l’edificazione del nucleo urbano fu decisa, nell’immediato anteguerra, dal regime statale nazionalsocialista specificamente per i dipendenti dell’allora nuova fabbrica -, a Wolfsburg, a pochi mesi dal termine della Seconda Guerra mondiale iniziò ufficialmente la produzione in serie di Volkswagen Maggiolino (soprannome datole in Italia, così come in Germania venne soprannominata “Käfer”, ovvero “scarafaggio”; stesso termine nei Paesi anglosassoni: “Beetle”; un po’ più “gentilmente”, in Francia fu ribattezzata “Coccinelle”, cioè coccinella; e nei mercati di lingua spagnola “Escarabajo”, scarabeo). Era il 27 dicembre 1945, dunque 75 anni fa esatti.

I tragici anni della Seconda Guerra mondiale

Come in Italia “Topolino” non era il nome di fabbrica della popolarissima utilitaria nazionale, così in Germania “Käfer” non coincise con la denominazione ufficiale, che in realtà era “Typ 1”: medesima indicazione di codice delle primissime 630 unità che erano state deliberate nei difficilissimi anni precedenti, in pieno conflitto mondiale, quando a Wolfsburg – appena inaugurata (il primo nome dato al complesso urbano era stato “Stadt des KdF-Wagen”, cioè “Città delle automobili della Kdf-Kraft durch Freunde”, organizzazione giovanile per lo svago direttamente controllata dal Governo nazionale; sarebbe stata rinominata Wolfsburg soltanto nel 1945 ) -, convertita alla produzione bellica, venivano realizzati attrezzature ed equipaggiamenti militari, aerei e veicoli fuoristrada (gli storici Kübelwagen – Typ 82 – peraltro strettamente imparentati con l’allora nuovissima “Typ 1” in quanto frutto della stessa “matita”: Ferdinand Porsche).

Il primo interesse delle forze di occupazione inglesi

Terminato il lungo e tragico quinquennio bellico, fu grazie all’interessamento del Governo militare britannico, che nel giugno del 1945 aveva assunto l’amministrazione fiduciaria di Volkswagen (all’epoca Volkswagenwerk GmbH), che il programma industriale della Typ 1 poté essere ripreso. In un primo momento, le forze militari di oltremanica intendevano impiegare le vetture esclusivamente per funzioni di trasporto urgente nelle zone di occupazione: un programma che avrebbe probabilmente causato, a breve termine, una notevole incertezza sul futuro della fabbrica quando l’occupazione fosse terminata.

La lungimiranza di un ufficiale dell’Esercito britannico

Un ruolo chiave, per il prosieguo del complesso industriale di Wolfsburg, fu quello del maggiore Ivan Hirst, ufficiale residente. Con lungimiranza ed inventiva, entusiasmo e passione per le automobili, ma anche concretezza e determinazione, il graduato dell’esercito inglese diede il via alla riconversione “civile” di Wolfsburg e quindi alla produzione del “Maggiolino”, che ebbe inizio tra le difficoltà del momento, fra razionamenti e scarsità di materie prime.

L’importante è partire

Ciò che più contava, tuttavia, era dare il “via libera” alla produzione in serie di autoveicoli: segno tangibile di un nuovo inizio e di speranza per un complesso industriale che le vicende belliche avevano in gran parte distrutto. Del resto, la politica inglese in Germania vedeva nella sicurezza materiale e nelle prospettive future per la popolazione gli elementi fondanti per lo sviluppo della democrazia. E fu proprio quest’ultimo obiettivo uno dei primi traguardi raggiunti nella rinata Volkswagenwerk: il 27 novembre 1945, il Consiglio di Fabbrica eletto con una votazione democratica si riunì per la propria assemblea costitutiva.

Le difficoltà dell’immediato dopoguerra non fermano i programmi

Già nell’agosto del 1945, il Governo militare britannico aveva commissionato un ordine per 20.000 vetture. Nonostante questo, i problemi non tardarono a farsi sentire. E furono questioni essenzialmente pratiche quanto essenziali per offrire un adeguato futuro alla fabbrica: le cronache del tempo raccontano di difficoltà nel fornire cibo e alloggio ai lavoratori. Per di più, la produzione era rallentata dalla scarsità di materie prime e forniture energetiche. Ciò, tuttavia, non impedì la messa in atto dei piani produttivi a Wolfsburg: le prime berline Volkswagen lasciarono la linea di produzione poco dopo Natale. Un regalo, ma anche un concreto segno di rinascita ad appena otto mesi dal termine della guerra. Per la fine del 1945, le vetture assemblate furono 55.

Le prime iniziative commerciali ed il graduale aumento di produzione

Dal 1946, i quantitativi di produzione aumentarono a 1.000 unità al mese. Non si poteva oggettivamente fare di più, a causa della perdurante scarsità di materie prime e per la forza lavoro sotto organico. “Fino all’autunno del 1949 – raccontano i vertici Volkswagen nella celebrazione dei 75 anni dalla delibera del primo “Maggiolino” – gli amministratori fiduciari posero i fondamenti per la successiva crescita dell’Azienda: istituirono un sistema di vendita, l’assistenza ai Clienti e dal 1947 iniziarono a esportare la berlina Volkswagen”.

Dal successo mondiale del Maggiolino le basi per la VW del 21. secolo

La decisione di realizzare una fabbrica automobilistica destinata all’uso civile ed il via alla produzione in serie di Volkswagen Typ 1 costituì il punto di partenza per una delle più celebri epopee industriali dell’era moderna. La ripresa economica del secondo dopoguerra che fece seguito all’introduzione del Marco e che non fece trovare Volkswagen impreparata, ed uno straordinario successo mondiale (prima dell’attuale ruolo di VW Golf come bestseller di tutti i tempi, fu il Maggiolino la vettura più venduta di sempre: 21.529.464 unità, quantitativo raggiunto nel 2003 in Messico; di questi, circa 15,8 milioni vennero prodotti in Germania) rappresentano il substrato per gli attuali programmi di sviluppo del “gigante” di Wolfsburg riguardo alla svolta digitale ed elettrica, inaugurata di fatto con l’esordio di Volkswagen ID.3 e ID.4 e destinata ad ampliarsi.

Ora si guarda al futuro

Le cifre parlano chiaro: entro il 2025, il Gruppo Volkswagen mette sul piatto ben 73 miliardi di euro da destinare a progetti sulle auto elettriche (per le quali sono stati di recente stanziati 35 miliardi di euro, auto ibride (11 miliardi di euro rivolti all’elettrificazione di modelli già esistenti) e sui nuovi servizi digitali (27 miliardi di euro).

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