Stellantis, com'è la vita di un operaio italiano in Serbia

La produzione della Grande Panda a Kragujevac evidenzia le differenze tra stabilimenti Stellantis: salari più alti in Serbia, cassa integrazione e trasferimenti per operai italiani

Stellantis, com'è la vita di un operaio italiano in Serbia
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Giorgio Colari
Pubblicato il 10 dic 2025

La scena che si delinea tra i reparti industriali italiani e quelli esteri è quella di una fabbrica profondamente divisa, dove la distanza non è solo geografica ma soprattutto economica e sociale. L’esperienza di un operaio di Pomigliano d’Arco, che racconta il disagio di lavorare a 1.600 chilometri da casa per assicurare un reddito dignitoso alla propria famiglia, diventa emblematica di una crisi più ampia che coinvolge centinaia di lavoratori italiani. “Come si fa ad andare avanti con 1.200 euro al mese?”, si domanda, sottolineando il nodo centrale della questione: il drastico divario retributivo tra chi resta in Italia e chi, invece, accetta i trasferimenti temporanei all’estero.

Il cuore della vicenda ruota attorno alla riorganizzazione produttiva di Stellantis, il colosso automobilistico che ha deciso di spostare la produzione della Grande Panda dagli stabilimenti italiani alla fabbrica serba di Kragujevac. In Italia, la realtà degli operai è segnata da una presenza in fabbrica limitata a soli 10-11 giorni al mese e dal ricorso alla cassa integrazione, che comporta una decurtazione di circa 35 euro lordi per ogni giorno di inattività. Il quadro che emerge è quello di una precarietà crescente, dove il salario si assottiglia e la stabilità lavorativa appare sempre più fragile.

Il confronto con l’Italia

Il confronto con la situazione serba è impietoso. A Kragujevac, gli operai lavorano su tre turni continui, con la possibilità di ottenere salari Serbia che superano i 2.000 euro mensili, grazie anche a indennità di trasferta e straordinari. Questa differenza, marcata e difficilmente colmabile, rappresenta un incentivo irresistibile per molti lavoratori italiani, costretti però a sacrificare la vicinanza alla famiglia e a sostenere ritmi lavorativi più intensi. La decisione di accettare i trasferimenti è spesso dettata dalla necessità, più che da una reale scelta, e porta con sé un carico di fatica fisica ed emotiva.

La strategia di Stellantis si basa su motivazioni che, almeno sul piano industriale, appaiono razionali. La fabbrica serba è già impegnata nella produzione della Citroën C3 sulla stessa piattaforma della Panda, il che consente di ottimizzare le sinergie e di ridurre sensibilmente i costi di produzione rispetto all’Italia. Tuttavia, dietro questi numeri si cela un prezzo sociale altissimo: gli operai italiani, per contenere le spese, condividono alloggi a Kragujevac, mentre la crescente domanda di abitazioni da parte della manodopera straniera sta facendo lievitare i prezzi degli affitti nella città serba.

La delocalizzazione è un tema da affrontare

Il tema della delocalizzazione e delle sue conseguenze non passa inosservato. Sindacati e istituzioni italiane seguono da vicino l’evolversi della situazione, consapevoli che i trasferimenti rappresentano una soluzione temporanea e non una risposta strutturale alla crisi del settore. Si fa sempre più urgente la necessità di ripensare le politiche industriali italiane, puntando su investimenti mirati nei territori, sulla revisione degli ammortizzatori sociali e su interventi concreti per aumentare la competitività del sistema produttivo nazionale. Il dibattito pubblico si infiamma, puntando il dito sulle responsabilità del gruppo Stellantis e chiedendo maggiore trasparenza nei processi decisionali che portano a delocalizzare produzioni iconiche del made in Italy.

Nel frattempo, la quotidianità dei lavoratori resta sospesa tra presente e futuro. L’orizzonte più prossimo è rappresentato dalle festività natalizie, quando molti di loro torneranno in Italia per riabbracciare le famiglie. Tuttavia, l’incertezza sul destino occupazionale degli stabilimenti italiani è palpabile, e il confronto tra azienda, sindacati e istituzioni promette di diventare sempre più acceso. La questione della produzione e della sua localizzazione si conferma come uno dei nodi cruciali del futuro industriale del Paese, in attesa di risposte che possano garantire dignità e sicurezza a chi lavora dietro le quinte dell’automotive italiano.

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