Non solo AMG GT XX, un'altra Mercedes è diventata leggenda a Nardò

Scopri la storia della Mercedes-Benz 190 E 2.3-16 Cosworth e del record di resistenza a Nardò: tecnologia, affidabilità e imprese leggendarie

Di Giulia Darante
Pubblicato il 27 ago 2025
Non solo AMG GT XX, un'altra Mercedes è diventata leggenda a Nardò

Nell’estate del 1983, la storia dell’automobilismo scrisse una delle sue pagine più audaci e spettacolari grazie a un’impresa che ancora oggi lascia senza fiato appassionati e addetti ai lavori. Sul leggendario Nardo Ring in Puglia, tre esemplari della Mercedes-Benz 190 E 2.3-16 Cosworth si lanciarono in una sfida estrema: percorrere 50.000 chilometri senza interruzione, a una velocità media che sfiorava i 250 km/h. Un test di endurance unico nel suo genere, ideato non solo per battere ogni limite umano e meccanico, ma anche per dimostrare in modo inequivocabile l’eccezionale affidabilità della nuova berlina sportiva della Stella.

Una missione ambiziosa

La missione di Mercedes-Benz era chiara e ambiziosa: mostrare al mondo che la sua nuova creazione non era soltanto veloce e affascinante, ma capace di resistere a sforzi prolungati che avrebbero messo in crisi qualsiasi vettura di serie. Per raggiungere questo obiettivo, la casa tedesca scelse la prova più dura e spettacolare, organizzando un test di endurance continuo, sotto la supervisione della rigorosa FIA. Le modifiche rispetto ai modelli stradali furono minime, a riprova della robustezza del progetto: solo un serbatoio maggiorato per garantire lunghe percorrenze, qualche accorgimento aerodinamico e una rapportatura finale ottimizzata per la velocità. Ogni vettura fu personalizzata con dettagli colorati — verde, rosso e bianco — per distinguerle durante la maratona.

La sfida prese il via il 13 agosto 1983 e si protrasse senza sosta fino al 21 agosto. Otto giorni ininterrotti di guida, con cambi pilota rapidissimi e soste ridotte all’essenziale per rifornimenti e manutenzione minima. La media oraria mantenuta fu impressionante: oltre 248 km/h, una velocità che, su una distanza così lunga, testimonia l’incredibile solidità della 190 E 2.3-16 Cosworth. Ma non mancarono gli imprevisti: l’esemplare con i dettagli verdi fu protagonista di un’avventura quasi surreale, dovendo fronteggiare sia un guasto al distributore sia l’impatto con una volpe che attraversò improvvisamente la pista.

Una grande impresa

Dopo 201 ore, 39 minuti e 43 secondi di guida continua, fu proprio la Mercedes-Benz verde a tagliare per prima il traguardo dei 50.000 chilometri, seguita a breve distanza dalle “sorelle” rosse e bianche. L’impresa si concluse con la conquista di ben undici record mondiali di resistenza, tutti certificati dalla FIA. Un risultato che andava ben oltre le aspettative e che, ancora oggi, rappresenta uno dei punti più alti mai raggiunti nei test di endurance automobilistica.

Il cuore pulsante di questa impresa era il leggendario motore Cosworth: un quattro cilindri da 2,3 litri, aspirato, sviluppato in collaborazione con gli specialisti inglesi e capace di erogare 183 cavalli. Le prestazioni erano di tutto rispetto per l’epoca: accelerazione da 0 a 100 km/h in soli 7,6 secondi e una velocità massima di 230 km/h. Dati che, uniti alla proverbiale affidabilità della meccanica tedesca, permisero alla Mercedes-Benz di riaffermarsi tra i protagonisti delle competizioni internazionali, dopo l’onda d’urto provocata dall’avvento dell’Audi Quattro nel mondo dei rally e delle touring car.

Dimostrazione di forza

Quell’estate del 1983 non fu soltanto un banco di prova per una vettura, ma una vera e propria dimostrazione di forza e di ingegneria applicata. La Mercedes-Benz 190 E 2.3-16 Cosworth non solo conquistò i record, ma entrò di diritto nell’Olimpo delle auto più iconiche di sempre, incarnando lo spirito di un’epoca in cui le imprese si misuravano ancora sull’asfalto, tra fatica, passione e un pizzico di follia.

Oggi, i tre esemplari protagonisti di quella maratona leggendaria sono gelosamente custoditi al Mercedes-Benz Brand Experience in Germania. Restano testimoni silenziosi di un tempo in cui la affidabilità si guadagnava sul campo, tra le curve infuocate di una pista che non perdona, e in cui i record non erano solo numeri su una tabella, ma storie di uomini, macchine e sogni che correvano più veloci del tempo stesso.

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