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Gran Bretagna, quando i marchi auto che hanno fatto la storia falliscono

La storia dell’automobilismo britannico è stato ricco di successi, ma anche di insuccessi. E sono tanti i marchi scomparsi dal mercato.

Automobili e Gran Bretagna, un legame affascinante che percorre l’intera storia delle quattro ruote. Su strada e in pista, l’automobilismo inglese e, più in generale, britannico ha significato emozioni, modelli unici, lusso, ma anche eccentricità e capacità di stupire. E di scommettere. Ma non sempre le scommesse si vincono.

Nel corso della storia, infatti, sono tanti gli imprenditori che si sono buttati sul mercato delle quattro ruote, creando dal nulla Case automobilistiche che dovevano imporsi a livello globale. A qualcuno è andata bene, altri hanno vissuto alla grande il periodo d’oro dell’automobilismo britannico, soprattutto negli anni ’60, qualcuno è durato – invece – il tempo di un giro di pista a Brands Hatch.

La crisi economica, la necessità di adattare le vetture alla guida continentale, una visione spesso fin troppo sportiva ed estrema, politiche governative ben diverse rispetto a quelle viste in altri Paesi (Italia inclusa) che hanno obbligato i produttori a camminare sulle loro gambe senza aiuti statali, e – infine – dirigenti a volte incapaci hanno così portato tante di queste Case automobilistiche britanniche al fallimento.

Purtroppo per gli inglesi, infatti, non tutte le vetture diventano leggendarie come quella guidata dal compianto Jack Brabham, né sono la bellissima Aston Martin DB5 guidata dall’affascinante James Bond in Goldfinger. Quando i britannici si cimentano con le auto “normali”, quelle per l’automobilista di tutti i giorni, allora il flop è alle porte.

Tra i nomi più famosi ci sono l’Austin e la Morris, cioè i marchi con cui vide la luce la leggendaria Mini, che dopo decenni di storia sono stati cancellati attorno alla metà degli anni ’80. Come la Austin Healey o la Rover, che iniziò a produrre automobili nel 1904, visse autonomamente fino al 1967, poi divenne negli anni ’80 Austin Rover, fino alla definitiva scomparsa nel 2005.

Nell’immaginario comune il suo nome è legato a quella della francese Peugeot, ma Talbot è un marchio anglofrancese nato nel 1903, la cui vita è stata sempre balbettante, acquistata da altre Case, scomparendo negli anni ’60 per poi ritornare, appunto, nel 1978 come Talbot-Peugeot. Ma anche qui la vita è stata breve e nel 1986 si chiuse l’esperienza come produttore di automobili.

Ma, come detto, sono tanti i marchi apparsi sul mercato britannico nel secolo scorso e che hanno avuto più o meno fortuna, ma il cui finale è stato sempre un addio. Si va dall’Allard, attiva tra il 1946 e il 1959, alla Alvis, acquistata dalla Rover, passando per la TVR e non solo. La lista è lunga, con anche la Gilbern, prima e unica Casa gallese, Hillman, Jensen, Jowett, Marcos, Panther, Reliant, Riley, Singer, Standard, Sunbeam, Triumph e Wolesely.

Insomma, il legame indissolubile tra automobilismo e Gran Bretagna c’è e resiste. Resiste in pista, resiste nei modelli eccentrici e per pochi, ma quando entra in competizione con le vetture di serie, allora l’Inghilterra non riesce a stare al passo di quei marchi forse meno affascinanti o altisonanti, ma che vendono. E, alla fine, se si entra in un mercato lo si fa per vendere.

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