Auto ibride plug-in: uno studio mette in discussione la loro sostenibilità

Le auto ibride plug-in emettono più CO2 di quanto dichiarato: uno studio rivela i limiti della tecnologia PHEV e le implicazioni per la mobilità sostenibile.

Auto ibride plug-in: uno studio mette in discussione la loro sostenibilità
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Giorgio Colari
Pubblicato il 17 ott 2025

Le auto ibride plug-in sono state spesso presentate come la soluzione ideale per una mobilità sostenibile, promettendo emissioni ridotte e consumi contenuti. Tuttavia, un’analisi approfondita condotta da Transport & Environment getta una luce diversa su questi veicoli, mettendo in discussione la loro reale efficacia nel processo di decarbonizzazione dei trasporti. I risultati dell’indagine rivelano una distanza significativa tra le aspettative e la realtà d’uso quotidiano, alimentando il dibattito sulla validità delle tecnologie ibride plug-in come alternativa verde.

Secondo lo studio, che ha esaminato un campione di oltre 800.000 PHEV circolanti sulle strade europee, le discrepanze tra i dati ufficiali e quelli reali sono allarmanti. Le emissioni effettive di emissioni CO2 delle auto ibride plug-in risultano fino a cinque volte superiori rispetto ai valori dichiarati nei test di omologazione. In concreto, durante l’uso quotidiano, queste vetture rilasciano mediamente 135 grammi di CO2 per chilometro percorso, riuscendo a ridurre le emissioni solo del 19% rispetto ai tradizionali motori a benzina o diesel, che si attestano su una media di 166 g/km.

Un aspetto cruciale che emerge dall’indagine riguarda la metodologia di test WLTP, adottata per certificare le prestazioni ambientali dei veicoli. Questo protocollo, sebbene più aggiornato rispetto ai precedenti, continua a simulare condizioni di guida ideali, lontane dalla realtà quotidiana degli automobilisti europei. Il risultato è che il motore termico delle auto ibride plug-in si attiva molto più spesso del previsto, anche in situazioni dove dovrebbe operare esclusivamente la componente elettrica. Questo utilizzo limitato della modalità elettrica si traduce in una percentuale di percorrenza a zero emissioni pari appena al 27% del totale dei chilometri percorsi dagli utenti.

Ma non è tutto: persino quando le PHEV vengono impiegate in modalità “full electric”, i dati raccolti mostrano che il consumo medio di carburante si attesta su tre litri ogni 100 chilometri. Questo comporta un rilascio di 68 grammi di CO2 per chilometro, un valore quasi nove volte superiore rispetto a quanto dichiarato nei dati ufficiali forniti dai costruttori. La differenza tra i dati di laboratorio e la realtà non solo mina la credibilità delle auto ibride plug-in, ma comporta anche un impatto economico rilevante per i consumatori.

Secondo le stime di Transport & Environment, gli automobilisti che scelgono una PHEV si trovano a spendere circa 500 euro in più ogni anno rispetto alle previsioni basate sui consumi dichiarati. A questo si aggiunge un costo d’acquisto decisamente elevato: una recente analisi di Bloomberg Intelligence prevede che, nel 2025, il prezzo medio di una auto ibrida plug-in in Germania, Francia e Regno Unito raggiungerà i 55.700 euro, superando di ben 15.200 euro quello delle auto completamente elettriche.

L’aspetto forse più controverso riguarda la classificazione normativa delle auto ibride plug-in come veicoli a basse emissioni. Questa etichetta, rivelatasi poco accurata alla luce dei dati reali, ha consentito alle case automobilistiche di evitare oltre 5 miliardi di euro in sanzioni tra il 2021 e il 2023, sfruttando una normativa che non riflette il reale impatto ambientale delle PHEV. La Commissione europea ha annunciato alcune correzioni al cosiddetto “fattore di utilizzo”, ma secondo Transport & Environment tali modifiche non saranno sufficienti a colmare il divario tra le prestazioni dichiarate e quelle effettive.

Il messaggio che emerge dall’indagine è chiaro: se l’obiettivo è una vera decarbonizzazione dei trasporti, le auto ibride plug-in non rappresentano una soluzione efficace. La loro inclusione tra le tecnologie a basse emissioni rischia di rallentare il percorso verso una mobilità sostenibile e di perpetuare un falso mito di sostenibilità. Per i regolatori europei, la sfida è ora quella di rivedere i criteri di classificazione e incentivazione, orientando il mercato verso soluzioni realmente in grado di ridurre l’impatto ambientale del settore automotive.

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