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Incidente al Rally di Lucca 2012: condanne per piloti e navigatori

Sentenze di primo grado forti nei confronti degli equipaggi che non hanno soccorso i colleghi, poi morti, dopo un incidente di gara al Rally di Lucca 2012.

Il tribunale di Lucca ha emesso la sentenza di primo grado nei confronti degli imputati chiamati a giudizio per il drammatico incidente occorso al pilota Valerio Catelani e alla navigatrice Daniela Bertoneri in occasione del Rally Città di Lucca 2012, quando i due persero la vita, avvolti nelle fiamme della loro Peugeot 207 S2000, dopo una brutta uscita di strada.

Il giudice, per i fatti di allora, ha condannato diversi piloti, coéquipier e uomini della sicurezza, con le accuse di omicidio colposo e omissione di soccorso, come riporta il giornale “Lucca in Diretta“. Nello specifico, è stata comminata una pena di un anno e due mesi per omissione di soccorso ai due equipaggi passati dopo l’incidente, rei di non essersi fermati a prestare aiuto nonostante le fiamme. Secondo la tesi del pubblico ministero i protagonisti della disavventura potevano salvarsi se soccorsi subito dai loro colleghi in corsa transitati appena dopo.

Una condanna ad un anno, per omicidio colposo, è stata inflitta ad altri sette imputati, con destinatari gli apripista e il responsabile della sicurezza della gara toscana, giunta quell’anno alla quarantasettesima edizione. Anche per loro, come per i primi, la pena risulta sospesa. Secondo l’accusa, gli equipaggi delle auto di ricognizione non avrebbero segnalato lo scardinamento di un piccolo muro di cemento nel luogo in cui si è verificato il disastro.

I giudici hanno in sostanza convalidato l’impianto messo in piedi del pubblico ministero, riconoscendo le responsabilità dei soggetti chiamati in causa. Ora si attendono le motivazioni della sentenza, che aiuteranno a capire meglio il quadro.

Non è nostra abitudine commentare le sentenze, che si applicano e al massimo si appellano, come probabilmente succederà in questo caso. Oltretutto sarebbe un esercizio sbagliato anche sul piano degli argomenti, essendo la nostra conoscenza dei fatti limitata. Ci asteniamo quindi dalla pratica. Vogliamo però concederci qualche riflessione sullo scenario che scaturisce da questo verdetto.

Il rischio è quello di caricare i piloti e i navigatori di responsabilità che, in ambito agonistico, andrebbero forse trattate in modo diverso. Se in strada e nella vita di tutti i giorni ciascuno è responsabile della salvaguardia della propria e dell’altrui salute, con il dovere preciso di soccorrere gli altri in caso di incidente, le cose andrebbero viste in modo diverso in gara, dove ci sono dei soggetti preposti alla sicurezza.

Far partire gli equipaggi con la paura di una condanna per omissione di soccorso potrebbe incidere sulla lucidità che si deve avere quando si spinge al massimo la propria vettura, aumentando i rischi e minando l’equilibrio dell’azione. Non tutti gli incidenti, poi, annunciano in modo chiaro il possibile destino di chi vi è coinvolto: alcuni magari possono apparire scenografici e trasmettere le peggiori impressioni, ma con esito felice; altri possono sembrare banali, ma con conseguenze letali. Come può fare un pilota (o il suo navigatore) a decidere al volo, viaggiando a ritmo estremo, se è il caso di fermarsi o meno?

Vista la frequenza dei crash, imporre una fermata di soccorso obbligatoria, per evitare i possibili risvolti penali, significherebbe pregiudicare il senso delle gare, che portano in dote una percentuale intrinseca di rischio, di cui tutti i protagonisti sono ben consapevoli. Questo non vuol dire assolutamente infischiarsene degli altri. Niente vale quanto la vita di una persona, ma per ridurre i rischi (che comunque restano nel mondo delle corse) bisogna ottimizzare ulteriormente la macchina della sicurezza, come succede in Formula 1, dove dopo un incidente non intervengono i piloti, ma il personale specializzato, in modo molto tempestivo, anche se in uno scenario oggettivamente più facile.

Nel Circus ci sono stati esempi di soccorso fra colleghi, come quello di Arturo Merzario in occasione dell’incidente di Niki Lauda, ma è stato il frutto di una spinta di coscienza, che è personale e libera. Io mi sarei comportato allo stesso modo e per me nessun risultato vale quanto il soccorso prestato a chi ne ha bisogno, giusto per chiarire il quadro, ma non è la stessa cosa di avere una condanna dietro l’angolo nel caso ci si affidi al dispositivo di sicurezza messo in piedi dagli organizzatori. Secondo me, caricare i piloti e i navigatori di questo rischio, è eccessivo, vista la particolare natura ed organizzazione delle corse. Poi ognuno la pensi come crede. Resta il fatto che le sentenze si rispettano e non si discutono.

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