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Rilancio Alfa Romeo: cosa è andato storto?

Il Marchio Alfa Romeo è rinato più volte ma non ha mai spiccato il volo, adesso il Gruppo Stellantis ha una gamma da ricostruire

Con la nascita del Gruppo Stellantis i marchi ex FCA seguiranno sviluppi diversi, ma ce n’è uno in particolare che ha cercato di risorgere due volte, c’è quasi riuscito, anche se non ha mai spiccato il volo: l’Alfa Romeo. Cerchiamo di capire quali sono state le decisioni che non hanno giovato al mercato del Biscione negli anni precedenti, fino ad arrivare alle difficoltà odierne.

Due modelli di successo: la 156 e la 147

Nel 1997, con una berlina nata dall’estro di Walter de Silva, la 156, l’Alfa Romeo sembrava poter rialzare la testa, e il mercato l’accolse con favore, persino gli estimatori del Brand orfani della trazione posteriore l’apprezzarono. Grazie a delle sospensioni anteriori a quadrilatero alto infatti, la vettura in questione poteva contare su una dinamica divertente e sicura; inoltre, la linea conquistò subito la clientela per il suo stile moderno, con le maniglie posteriori annegate nei montanti, ed i richiami retrò all’anteriore. Forte di novità tecniche importanti come il turbodiesel common rail, la berlina del Biscione conquistò 680.000 clienti e venne venduta anche in variante wagon e nella sportivissima versione GTA con il V6 3.2 da 250 CV.

Dopo 3 anni dal lancio della 156, ecco che arrivò nel listino dell’Alfa Romeo la 147, una compatta forte dello schema sospensivo della berlina citata nelle righe precedenti e di uno stile altrettanto affascinante, non a caso conquistò nel 2001 il titolo di auto dell’anno bissando quello ottenuto nel 1998 dalla 156. Realizzata fino al 2010, la 147 allungò la carriera fino a 10 anni contro gli 8 anni della sorella maggiore, e alla fine fu venduta in circa 580.000 esemplari. La più cattiva rimane la GTA che adottò lo stesso V6 della 156 con l’omonima sigla.

Un successo che è stato completato anche dall’arrivo di un’auto furba, perché sportiva e pratica allo stesso tempo, la GT, nata da una costola della 156, ma con il carattere della coupé abbinato allo spazio di una vettura per 5 persone. Costruita in oltre 25.000 esemplari dal 2003 al 2011, aveva un design griffato Bertone, e fu l’ultima auto realizzata dal suo atelier.

La 159 e la Brera: pesanti e incomprese

Ecco, in quel preciso momento in cui il rilancio sembrava ormai cosa fatta, i vertici dell’Alfa Romeo avrebbero iniziato a mischiare le carte disorientando una clientela che iniziava ad avere delle certezze.

Alfa Romeo 159

Spieghiamoci meglio: arrivò la 159 con il compito di sostituire la 156 e la 166, due auto insieme, ma nonostante una dinamica a prova di bomba, aveva motori inadeguati, un peso eccessivo e questo ne pregiudicò il successo rispetto ad una concorrenza tedesca contro la quale voleva giocare sullo stesso piano: quello della qualità, senza costituire una scelta più esotica ed accattivante come poteva essere, in precedenza, la 156.

Le unità a benzina, oneste ma con poco carattere, fino all’arrivo tardivo della Tbi con il 1.750 sovralimentato da 200 CV, un restyling che non è riuscito a ridurre la massa in maniera concreta, e alcune finiture migliorabili, hanno fatto passare in secondo piano la sicurezza passiva, ed un comparto sospensioni decisamente raffinato. La linea poi, seppur ancora piacevole ed appagante, anche in variante wagon, è stata anticipata in parte dal restyling della 156. Ne furono prodotte meno di 250.000 esemplari dal 2005 al 2011, un risultato decisamente inferiore alle aspettative se si pensa ai numeri della 156.

Alfa Romeo Brera

La sorella coupé della 159, la Brera, fu un colpo al cuore per gli alfisti più intransigenti, perché l’auto in questione era stata presentata in forma di prototipo nel 2002 con meccanica Maserati e trazione posteriore, per poi essere prodotta nel 2005 con i motori della 159 e la trazione anteriore. Nonostante questo, la linea è ancora molto piacevole, seppur troppo somigliante nel frontale alla 159, forse sarebbe stato utile distinguerle di più, anche a livello di plancia, visto che era praticamente speculare a quella della berlina.

Considerando che anche in questo caso il Tbi arrivò a fine carriera, nel 2009, quindi ad un anno dal termine della produzione, il reparto motori fu ancora una volta, insieme al peso, un vero e proprio tallone d’Achille: infatti, i benzina non erano all’altezza delle aspettative, anche il 3.2 V6, e paradossalmente il più appagante era il 2.4 turbodiesel con tanta coppia e una potenza arrivata a 210 CV. Dalla Brera derivò anche la Spider, che ne ereditò i difetti senza avere lo spesso appeal della coupé, con l’aggravante che su una scoperta il motore a gasolio è malvisto come un paio di sneakers indossate sotto lo smoking.

MiTo: la gamma si amplia verso il basso

Con la MiTo la gamma si amplia verso il basso seguendo la scia della MINI, ma senza avere una qualità speculare a quella della vettura inglese. Comunque, l’estetica della piccola del Biscione era originale, visto che strizzava l’occhio alla bellissima 8C Competizione, e con il “DNA” anche la dinamica di guida era stata trattata in maniera innovativa. Certo, il prezzo alto poteva generare una sorta di concorrenza interna con gli ultimi esemplari della 147 prodotta fino al 2010 e avvantaggiata dalle sospensioni più raffinate, ma la clientela a cui si rivolgeva la MiTo era diversa, rappresentava un prodotto per avvicinare al Brand anche i più giovani, e i tanti contenuti lanciati in rete per raccontarne le fasi dello sviluppo lo dimostrarono sin dal principio.

Purtroppo però, dopo i primi due anni di produzione, con un 2009 trionfale in cui ne furono vendute 62.000 esemplari, la sua richiesta andò scemando e il clamore del lancio non fu sostenuto dalla medesima attenzione mediatica, a parte l’attesa di una fantomatica variante GTA che avrebbe fatto sognare gli alfisti più giovani e che non venne mai prodotta rimanendo un esemplare unico. Anche le modifiche nel tempo non furono sostanziali, e così nel 2012 gli esemplari immatricolati scesero a 25.000, un tracollo che si trasformò in caduta libera visto che nel 2017 furono immatricolate solamente 11.000 MiTo, quindi nel 2018, 2 anni fa, l’auto termino la sua produzione e rimase senza erede.

Giulietta: non all’altezza della 147

Al momento, senza erede rimane anche la Giulietta, vista con sospetto e accusata di avere una parentela troppo stretta con la Fiat Bravo, ha comunque soddisfatto per il suo stile ed una dinamica piacevole, pur rappresentando un passo indietro a livello tecnico rispetto alla 147, superiore anche nelle finiture interne. Con una gamma di motori ben studiata, forte di una valida variante a doppia alimentazione benzina-GPL, il 1.4 sovralimentato da 120 CV, dei turbodiesel all’altezza delle aspettative e capaci di soddisfare sia i più sportivi con il 2 litri, che coloro interessati alle percorrenze, attraverso il 1.6, la compatta del Biscione è stata aggiornata leggermente, ed è arrivata fino al 2020 con oltre 400.000 unità prodotte, tra cui la sportiva Quadrifoglio Verde da 240 CV.

Giulia e Stelvio: un ulteriore cambio di rotta

Sperperata la spinta emotiva e qualitativa delle 156 e della 147, e senza una continuità in segmenti importantissimi come il B ed il C, l’Alfa Romeo è passata rapidamente dalle innovazioni di De Meo alla volontà di rilancio di Marchionne, e ancora una volta ha rimescolato le carte con la Giulia e la Stelvio: due auto dai contenuti e dalle ambizioni differenti. La prima è arrivata nel 2016 dopo una lunga gestazione, con una variante Quadrifoglio dalla guidabilità d’altri tempi anche se poco congeniale al mercato, ma con un infotainment poco competitivo rispetto alla concorrenza, lontana anche a livello di ADAS. Sottopelle però nascondeva dei tesori che hanno fatto la felicità dei puristi come l’albero di trasmissione in carbonio e, ovviamente, la mitica trazione posteriore, arricchita più avanti anche del differenziale Q2 contenuto in un apposito pacchetto. La seconda ha debuttato nel 2017 ed è stato un successo per 2 motivi: è un SUV, quindi richiesto dal mercato a gran voce, ed ha una dinamica molto vicina a quella, spettacolare, della Giulia.

Due auto nuove dunque, rivolte ad una clientela ancora più esigente, e in diretta concorrenza con le agguerritissime rivali tedesche, dominatrici incontrastate tra i brand premium. Due vetture attualmente arricchite a livello multimediale e nella sicurezza attiva, con la Stelvio che continua a far segnare numeri interessanti come gli 882 esemplari immatricolati nel mese di dicembre 2020 in Italia, e la Giulia che fa da contraltare divenendo uno dei modelli più appetibili tra le km/0 e tra le auto usate con pochi km all’attivo. Forse l’assenza di una versione wagon, apprezzata non poco nel mercato delle flotte aziendali, si fa sentire; e d’altra parte, se auto come l’Audi A4, la BMW Serie 3, e la Mercedes-Benz Classe C presentano questa variante in gamma un motivo ci sarà, nonostante non manchino nel listino di questi marchi dei SUV dello stesso segmento.

All’Alfa Romeo hanno sempre sostenuto che per chi ricerca più spazio c’è la Stelvio, ma evidentemente un modello specifico sarebbe stato apprezzato dal mercato e avrebbe giovato non poco nei risultati commerciali. Infatti, quest’ultimi, nel periodo che va da gennaio 2019 al mese di novembre 2020, hanno fatto segnare a livello europeo una flessione del 35,8%.

La Tonale solo nel 2022 con una gamma da ricostruire

Per risalire la china servono nuovi modelli come la Tonale, che però ha avuto una gestazione travagliata, durata ben 3 anni, e non sarà sul mercato prima del 2022, poi si parla di un crossover, mentre per ora sembrano accantonate le sportive di stampo classico. Dunque, la 4C non avrà seguito, e con poco più di 1000 esemplari prodotti rimane un oggetto da raro, da collezionisti, generando altri rimpianti, perché forse avrebbe avuto più senso creare una spider con motore anteriore, più accessibile e più in linea con la tradizione, piuttosto che una supercar in miniatura tanto bella e particolare quanto costosa e poco godibile nel quotidiano.

Quando arriverà la Tonale la Stelvio avrà 5 anni di carriera alle spalle, e sarà necessario rinnovarla, magari con varianti elettrificate, la Giulia rimarrà un oggetto che piace a molti ma è capito da pochi, e mancheranno proposte nel segmento B, dove un SUV sarebbe utilissimo alla causa. Forse con il Gruppo Stellantis l’Alfa Romeo crescerà ed avrà finalmente quella gamma completa su cui non può contare da tempo, con modelli moderni nei vari segmenti di mercato, ma c’è il rischio che le piattaforme condivise possano far perdere al brand quell’identità che Marchionne, seppur a fatica, era riuscito a ricostruire.

Uno sforzo per ridare al marchio del Biscione quella completezza di cui ha bisogno sarebbe fondamentale perché porterebbe questo nome leggendario ad essere una bandiera per tutto il Gruppo, magari rispolverando anche modelli iconici come la GTV. Certo, in una sinergia industriale dove si mastica in quantità la lingua francese, issare a bandiera un Brand italiano potrebbe risultare un’impresa difficile, ma ne varrebbe la pena.

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