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Prezzo carburanti: ecco perché la benzina potrebbe arrivare a 4 euro al litro

L’assenza di politiche concrete rischia di determinare un micidiale circolo vizioso che farebbe schizzare alle stelle il prezzo dei combustibili.

Paghereste 4 euro un litro di benzina (o di gasolio, ché sembra opinione diffusa un futuro allineamento dei relativi prezzi… in barba alla maggiore economia del diesel, ma questo è un altro discorso)? No, sicuramente.

Eppure, questo è – secondo alcuni esperti – uno dei possibili scenari verso i quali l’incontrollata, e per molti versi insensata, corsa all’aumento dei prezzi per il consumatore finale potrebbe muoversi. In poche parole: i recentissimi rincari delle utenze (luce e gas), in parte mitigati dal taglio dell’IVA deciso a fine settembre dall’esecutivo, non è escluso che nei prossimi trimestri (diciamo fino alla primavera 2022) non tornino a verificarsi.

Se a livello politico non si interviene per tempo, nel futuro a medio termine anche il prezzo dei principali carburanti per autotrazione – appunto: benzina e gasolio – schizzerebbero alle stelle, fino a raggiungere livelli da spavento. Anche 4 euro al litro. Con tutte le implicazioni che ne deriverebbero: impennate nel prezzo delle merci, aumenti a dismisura del riscaldamento domestico tanto per citare solamente due delle conseguenze più evidenti.

Livelli record

Eppure, le cifre del petrolio parlano chiaro: anche se le ultimissime notizie (giovedì 21 e venerdì 22 ottobre 2021) li danno in lieve flessione, il Wti americano si attesta pur sempre a poco meno di 82 dollari al barile, ed il Brent europeo viene venduto intorno a 83,9 euro. Una prima diminuzione c’è rispetto a recentissimi picchi nell’ordine di 83 ed oltre 85 dollari per Wti e Brent. Siamo tuttavia sui livelli più elevati dal 2014, con la differenza (e non è poco) che il mondo si trova sempre alle prese con gli effetti della pandemia da Covid e l’onda lunga – intesa come difficoltà economiche – dell’emergenza sanitaria.

Da qui una questione fondamentale: quanto durerà ancora l’aumento del petrolio? Si finirà per indebitarsi pur di riuscire ad acquistare i prodotti di raffinazione dell’”oro nero” (e mai tale definizione è sembrata così azzeccata), cioè i carburanti che muovono gli autoveicoli che, a prescindere dalle indicazioni della Commissione Europea, viaggeranno a benzina e gasolio ancora per un bel pezzo, altro che 2035? Il secondo interrogativo è chiaramente paradossale. Tuttavia, un parere scientifico c’è, ed è interessante analizzarlo.

Lo scenario descritto dal docente ed ex ministro

Sul blog rivistaenergia.it collegato alla rivista trimestrale Energia, il direttore Alberto Clò (già ministro dell’Industria nel Governo Dini del 1995-96 e docente di Economia applicata all’Università di Bologna) esamina quali cause hanno portato alla crescita del prezzo del petrolio, e perché questo – almeno in teoria – salirà ancora, a breve ed a medio termine.

Così il petrolio aumenta e aumenterà ancora

Il primo motivo, sostiene Clò, viene visto nella ripresa della domanda, parallela a quella – seppure parziale – delle attività economiche. Seguono, nell’ordine, la direzione dell’offerta nei Paesi che aderiscono all’Opec con Russia e alleati (Opec Plus) e la diminuzione degli investimenti. Su queste basi, si prevede che la domanda aumenterà, nel quarto trimestre 2021, a 99,4 milioni di barili al giorno, dunque su un livello leggermente inferiore rispetto al periodo pre-Covid.

La “questione cinese”

Il saldo netto, indica l’ex ministro dell’Industria, deriva da una riduzione della domanda nei Paesi Ocse e dalla sua compensazione con l’aumento nei Paesi non Ocse, in special modo l’Asia. La questione cinese è primaria: per far fronte alla crisi energetica che interessa l’intero Paese, il Governo di Pechino ha chiesto alle imprese di comprare combustibiliA qualsiasi prezzo” (quindi petrolio, metano e anche carbone), con la conseguenza di un’ascesa dei rispettivi prezzi sui mercati internazionali.

Ad alimentare uno squilibrio economico c’è una bassa offerta: l’Opec Plus, scrive Clò, in conferma ad un precedente accordo immette ogni mese non più di 400.000 barili al giorno. Ed ecco spiegato il rialzo dei prezzi e l’aumento dei profitti dei Paesi produttori.

L’Europa sta a guardare

Questo circolo vizioso non vede un’Europa parte attiva nell’attuare politiche di autoprotezione. Al contrario, a Bruxelles, si punta sulla svolta ecologica come la ricetta che tutto risolverà. Regna, in buona sostanza, la pia illusione che presto potremo fare a meno di petrolio e metano. Eppure, dall’altra parte dell’oceano c’è un presidente (Joe Biden), che di certo non è conservatore, la cui amministrazione è “Molto irritata e preoccupata – indica Alberto Clò dell’impatto dei maggiori prezzi sulla propria economia e sulle elezioni mid-term del prossimo anno, nonostante le forti pressioni esercitate sull’Arabia Saudita e sugli Emirati Arabi perché aumentassero maggiormente l’offerta”. In effetti, con il passaggio della presidenza da Donald Trump a Biden le relazioni energetiche fra USA e medio oriente si sono molto raffreddate.

L’attuale amministrazione della Casa Bianca intende, finora, mantenere le sanzioni contro l’Iran, che dal canto suo può contare su notevoli risorse estrattive inutilizzate; e, in parallelo, “Non può più fare conto sull’immediata crescita dello ‘shale oil’ all’aumentare dei prezzi, con una produzione petrolifera complessiva che resta 2 milioni bbl/g al di sotto del picco di 13 milioni bbl/g”. Per diminuire i prezzi, Washington non avrebbe che due scelte: mettere mano alla “Strategic Petroleum Reserve”, oppure bloccare le esportazioni, ipotesi quest’ultima rischiosa.

Il petrolio resterà fondamentale

Tutto il mondo ad eccezione dell’Europa, scrive Clò, ha dovuto prendere atto che “Il petrolio continua ad essere essenziale per le diverse economie”, che il ruolo delle grandi Compagnie “Resta imprescindibile, anche se la loro quota sulla produzione mondiale non va oltre il 10%”, e che “Il futuro dipenderà massimamente dalle strategie di investimento delle ‘National Oil Companies’ dei paesi produttori finalizzate agli interessi nazionali più che a quelli globali”.

Domani vivremo quello che decidiamo oggi

Il professore cita alcuni dati: secondo il “World Energy Outlook 2021” dell’Agenzia di Parigi, reso noto a metà ottobre, lo scenario “Stated Policies” (sulla base delle politiche annunciate oppure già avviate) indica che la domanda di petrolio si prevede in aumento al 2030 a 104 milioni di barili al giorno, per poi diminuire leggermente al 2050. E l’”Announced Pledges” (basato sull’ipotesi che gli impegni assunti si traducano in azione) sostiene che la domanda di petrolio resterebbe in effetti su 97 milioni di barili al giorno (al 2030) e poi calerebbe in maniera progressiva fino a 77 milioni di barili al giorno nel 2050. “Livelli inferiori a quelli attuali, ma che richiederebbero comunque ingenti investimenti per soddisfarli”, osserva Alberto Clò. L’Opec, dal canto suo, nel proprio “World Oil Outlook 2021” è di diverso parere: per il 2045 stima una domanda su 108 milioni di barili al giorno.

Altro che “morto”…

Ne consegue che il petrolio è ben lontano dall’essere considerato defunto; per converso, senza adeguati investimenti l’offerta potrebbe risultare compromessa negli anni a venire: “I cronici sotto-investimenti rischiano di compromettere un’adeguata futura offerta di petrolio così come di metano, come dimostra la crisi che stiamo attraversando”. Il problema non è dunque (non solamente) sull’attualità o sull’immediato, quanto soprattutto sul futuro a medio ed a lungo termine, quando cioè inizieranno a manifestarsi gli effetti della diminuzione degli investimenti sull’offerta di petrolio. Che, è bene tenerlo presente, non è l’ultima causa del continuo aumento dei prezzi del metano.

I minori investimenti sul petrolio sono dovuti, indica Clò, alla pressione esercitata da azionisti e investitori sulle Compagnie occidentali in cui si chiede la riconversione delle attività verso settori “green”, ma anche le difficoltà finanziarie delle stesse Compagnie che si sono accentuate dopo l’esplosione della pandemia da Covid, nonché una maggiore opposizione di Governi ed opinioni pubbliche.

Urge fronteggiare la tempesta perfetta

Per i prossimi anni, stima il professore, la capacità di petrolio inutilizzata e disponibile da subito (“Spare capacity”) da parte dei Paesi Opec, che attualmente si assesta su 6 milioni di barili al giorno (più un milione bbl/g dall’Iran) dovrebbe permettere di soddisfare la domanda, “Ma è destinata a dimezzarsi nel 2022, così che nella seconda metà del decennio la situazione è prevista farsi sempre più critica e preoccupante”. “Se la domanda dovesse proseguire nella sua crescita, sarebbe inevitabile un impatto sui prezzi con livelli che alcune banche di affari proiettano a tre cifre, fino a 150-200 dollari al barile”. In altre parole, si andrebbe a pagare la benzina 4 euro al litro.

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