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La soluzione del governo tedesco al Dieselgate? Truffare gli automobilisti

Nonostante lo scandalo di accordi illegali tra Bmw, Mercedes, Volkswagen, Audi e Porsche, Berlino tira dritto: “Per avere macchine regolari basterà aggiornare il software..”

Esiste la Germania, e poi la Verità. Da decenni abbiamo a che fare col concetto ideale di una paese che fa da traino all’economia Europea eregendosi ad esempio e a manifesto delle regole comunitarie, il tutto accompagnato da una finanza solida e ad una sorta di vocazione verso il “saper fare”. Esausti della nostra mediocrità italiana, qualcuno ci ha convinto perfino che i termini “Illegale” e “Truffa” neppure avessero un corrispettivo in tedesco, ma ecco che immancabilmente atterriamo invece sul più grosso scandalo politico e industriale che la comunità europea ricordi. Ed è tutto Made in Germany.

Abbiamo preso tempo e informazioni dall’annuncio di ieri dell’autorevole settimanale Der Spiegel su una sua inchiesta che coinvolge Bmw, Mercedes, Volkswagen, Audi e Porsche. Secondo le carte del reportage “Das Kartell”, tutti i costruttori tedeschi a partire dagli anni ’90 hanno formato un cartello illegale per coordinare tutte le proprie attività legate allo sviluppo tecnologico, alla gestione dei costi, alla scelta dei fornitori e soprattutto alla strategia legata allo sviluppo dei motori diesel. Mai nella storia dei trattati comunitari ci si è imbattuti in una simile, tanto volgare violazione delle normative antitrust che, lo ricordiamo, garantiscono la libera e leale concorrenza tra aziende e vietano in modo tassativo tra loro accordi che mettano a repentaglio i consumatori e la loro libertà di scelta.

Questo non è solo l’ennesimo tassello del Diesel Gate, ma casomai la madre di tutte le sue cause, la vergogna di chi intacca il fondamento della intera struttura del mercato unico. Degli articoli 101 e 102 del Trattato, non resta in piedi nulla.

Der Spiegel racconta di una organizzata parallela con oltre 200 dipendenti appartenenti a Bmw, Mercedes, Volkswagen, Audi e Porsche, distribuiti in modo razionale in 60 gruppi di lavoro. Tavoli condivisi al posto di segreti industriali. Il tutto denunciato secondo il settimanale proprio da Volkswagen, dopo la perquisizione nei propri uffici avvenuta la scorsa estate, sperando forse di guadagnarsi lo stesso sconto di pena concesso alla Man. La società tedesca controllata proprio dal gruppo di Wolfsburg fu infatti l’unica a vuotare il sacco e ad evitare la multa da 2,9 miliardi di euro, assegnata in aprile dall’autorità antitrust a cinque produttori di automezzi pesanti, giudicati d’accordo nel tenere artificiosamente alti i prezzi dei loro modelli.

Nel caos, ora vedremo la differenza tra la Germania e la verità. Perché si aprono due fronti, destinati ad esplodere in corrispondenza del Salone dell’Auto di Francoforte in programma dal 12 settembre. L’azione dell’autorità antitrust europea è inevitabile, colpirà tutte le aziende che sono giudicate far parte di questo cartello e preannuncia una multa per ora non quantificabile, ma che secondo le norme va parametrata alle decine di milioni di autovetture vendute sul mercato comunitario negli ultimi 20 anni da parte dei marchi coinvolti. Inutile azzardare previsioni a meno di 9 zeri. La Commissione europea e il Bundeskartellamt (l’Ufficio tedesco competente) hanno ricevuto informazioni e “la Commissione Ue sta le valutando”, spiega con toni poco concilianti un portavoce dell’esecutivo europeo.

La seconda linea di fuoco l’ha aperta uno sconsiderato Alexander Dobrindt, ministro tedesco dei trasporti con pochissima attitudine al rispetto, se non vogliamo dire alla conoscenza delle norme comunitarie. Dopo l’autodenuncia di Mercedes, che richiama 3 milioni di vetture, seguita da Audi con le sue 850 mila, l’esponente dell’esecutivo di Berlino ha annunciato un piano dal costo stimato di due miliardi di euro che prevede l’aggiornamento di tutte le vetture equipaggiate con motori diesel Euro 5 ed Euro 6, in modo da ridurre del 20% le emissioni di ossidi di azoto allo scarico. Le modalità sono identiche a quelle scelte da Mercedes e Audi, politicamente diremmo che è una azione “di concerto”, peccato sia sostanzialmente illegale se capitanata da un membro di un governo di un paese della comunità. La soluzione di Alexander Dobrindt, confermano a chi scrive da Bruxelles, non è affatto in linea con le politiche comunitarie e rappresenta a sua volta un intervento che turba la libera concorrenza, oltre ad una ulteriore serie di norme.

Dobrindt è colpevole? Il ministro dei trasporti tedesco non sa o finge i non sapere che l’intervento alla base del suo progetto, destinato ad essere presentato il 2 agosto prossimo, si basa su una riprogrammazione delle vetture, un aggiornamento del software con impostazioni molto più conservative della centralina dell’iniezione del gasolio. Non è un update come ci si aspetta da un iPhone, è un reato.

Da anni i costruttori fanno un uso disinvolto delle “finestra termica“, quell’intervallo di temperature entro le quali il motore può essere danneggiato dall’intervento di sistemi anti inquinamento, e che dunque le stesse norme comunitarie autorizzano a “spegnere” per tutelare la meccanica. Una autorizzazione concessa con un senso, e invece utilizzata dalle aziende per chiedere e ottenere un gran numero di spegnimenti possibili durante la marcia dell’automobile, vanificando per lunghi tratti lo stesso senso delle norme Euro.

Ora Dobrindt chiede e otterrà di “chiudere le finestre”, portando questi motori ad una condizione di legalità reale oltre che dichiarata. Peccato un simile aggiornamento software conservativo produca inevitabilmente un calo delle prestazioni, in una misura cosi marcata che prefigura le ipotesi di truffa e pubblicità ingannevole.Cosa succede di auto vendute e omologate con una potenza e coppia motrice nel frattempo scese, e molto, per via di un update software? Sulla base di che cifre sarà pagata la tassa di circolazione? Ci sarà mai un aggiornamento del libretto o dei documenti della vettura? Soprattutto, questo tipo di intervento è legale rispetto all’oggetto del contratto di acquisto?  Chiudere le finestre termiche apre le porte ad una sequela di Class Action possibili.

Per incidere su i temi dell’inquinamento bastava che la Germania facesse la Germania, ridiscutendo l’opportunità di un ricambio del parco circolante dove solo il 7% delle vetture è Euro 6, estendendo a tutti i paesi dell’Unione la necessità di ecoincentivi non solo come volano economico, ma di sistema.  Serviva discutere con Bruxelles sulla complessità di vincoli che strozzano l’ingegneria verso schemi improbabili. La verità ci è piaciuta meno, ma è questa la Germania.

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