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Goodwood 2016: la vera festa dei motori

Mi sto avvicinando alla Mecca del mondo dei motori. E, in un paesello di periferia, un cartello in un palazzo me lo ricorda “Here the last Pub before Goodwood”. Già, Goodwood, luogo mitico di Lord March, che nel 1993 decise di dare vita a tutto questo.


Una goccia sul parabrezza della mia Mercedes A45 AMG. Due-tre. Piove, e non è una grande novità. L’Inghilterra è cosi, non la puoi cambiare. Acqua, freddo, paesini che sembrano usciti da un libro di Harry Potter o giù di li. E poi quella guida a sinistra. Difficile abituarsi. Mica tanto per le rotonde o il senso di marcia, quanto per le proporzioni avendo il volante sul lato destro. Il navigatore mi porta da Brookslands fino alle verdi colline del West Sussex.

Non è una strada complicata in realtà. Statali, avvolte da vari paesi che, sulla destra e la sinistra, ti avvolgono, con un senso di calore nella fredda isola di San Andrea. Non vi sono colori, tutto praticamente fatto con gli stessi mattoni, di quel color marrone, grigio spezzato dal verde dei prati all’inglese. Il calore ti viene dalle luci interne, da qualche insegna. Niente LED, luci roboanti, niente eccessi londinesi. Anzi, la mia A45 AMG quasi stona con il suo color rosso fuoco. Un giro lungo un’oretta e mezza circa. Prudente, senza troppo esagerare, in cui incrocio sul mio percorso una McLaren P1, alcune Ferrari tra cui una 458 Italia, una Jaguar.

D’altro canto, mi sto avvicinando alla Mecca del mondo dei motori. E, in un paesello di periferia, un cartello in un palazzo me lo ricorda “Here the last Pub before Goodwood“. Già, Goodwood, luogo mitico di Lord March, che nel 1993 decise di dare vita a tutto questo. Non lo puoi riassumere in poche parole. E’ magia. Pura anima dei motori. Qui qualsiasi cosa trasuda passione. Purissima passione. E pensare che, prima della Seconda Guerra Mondiale era una delle tante gare clandestine che si disputavano tra le lande britanniche. Un ritrovo tra amici appassionati di auto, di Lancia per lo più, con a capo quel Freddie March, nonno di Charles.

E la storia, mai come in questo caso è importante. Ciclica, imperiale, fondante. Perchè a Goodwood passato, presente e futuro si fondono in unico mondo. E’ il regno delle contraddizioni: ricchi e poveri, piloti famosi e semplici appassionati, ospiti vip e famiglie con bambini al seguito. Tutti in un quel grande paddock, tutti a bocca aperta quando davanti agli occhi si ritrovano quella grande tenuta, quel palazzo che ha il sapore dei feudi di una volta.

E poi quella scultura simbolo di velocità, nuda e cruda, il ponte con quello stemma dato dalla bandiera a scacchi. Le balle di fieno ed i campi che si infangano non appena cadono due gocce di pioggia. Ecco, la magia di Goodwood sta tutta qui: non si bada al frivolo, allo scintillante, non c’è spazio per il superfluo. Qui ogni cosa è protagonista. Piove come arrivo all’hospitality di casa Mercedes. Mangio un boccone e accanto a me parlottano tranquilli Toto Wolff, la moglie Susie e Ross Brown. Transita anche papà Hamilton.

Il terrazzino affaccia sul breve rettilineo tra curva uno e curva due di un circuito brevissimo, una passerella dove ogni singolo mezzo a due e quattro ruote passerà per il suo giro cronometrato. E’ con gli occhi del giornalista, appassionato, verace, tecnico, che osservo il passaggio di supercar come la nuova Honda NSX (bellissima), la Lexus LC, la Ferrari FXX, ma anche i track protagonisti alla Dakar, o le vecchie glorie come la Mercedes GP del 1906, o la ‘Blitzen Benz’ del 1909 che, con il suo 4 cilindri da 5 litri, compie a malapena una curva prima di andare in testacoda sotto l’acqua. La gente applaude, gli stewart spingono la macchina in una ‘safety zone’.

E’ però con gli occhi di un bambino che, a bocca aperta, scendo fino al prato fangoso quando il telecronista annuncia il passaggio cronometrato delle Formula Uno di un tempo. Quelle della mia infanzia, di quando da piccolo svegliavo papà perchè si correva a Suzuka o ad Adelaide. Aspetto lì, dietro le balle di fieno, e con l’orecchio assaporo quel suono penetrante, vibrante, unico del V10 3.5 litri.

Arriva la prima sagoma. Gialla, blu, con le pance bianche. E’ la Williams Renault FW13B di Tierry Boutsen, guidata da Karun Chandhok. Bellissima nella sua livrea, con quella presa d’aria ovale unica. L’antesignana di quella vettura che, ai miei occhi, da bambino dominava con Nigel Mansell.

Lei certo, ma poi, subito dopo arriva la Regina. La più bella Formula Uno mai progettata e creata. Quel muso oblungo, con quel numero Uno rosso. Sopra lo stemma di casa Honda che la impreziosiva e la rendeva regale. La livrea, si certo dello sponsor di casa Phillip Morris, ma per me aveva poca importanza. La McLaren era così. Il V12 di Tokio vibra dentro l’animo.

Non c’è spazio per il superfluo, qui si vive con l’erba e le balle di paglia. Niente Vip club, ne distinzioni. La passione è protagonista.

Ho sempre amato i motori V12. Nei primi Novanta li usava solo la Ferrari: consumavano tanto, erano più pesanti. Eppure avevano quelle tonalità armoniche uniche. Mi godo ogni istante tra curva uno, curva due e il passaggio sotto il ponte. Alla guida Steffel Vandoorne, ma quella McLaren MP4/6 è la macchina di Ayrton. Pura poesia. Una fortuna unica poterla vivere a pochi metri. E’ poi il turno delle Formula Uno più moderne. L’annunciatore parla della Toro Rosso STR03 guidata da Adrian Newey – si proprio lui – o della BrawnGP che dominò il mondiale 2009, annuncia anche la Ferrari F10.

La livrea è quella di quest’anno ovviamente; alla guida Marc Genè. Quella però, non è la macchina di Alonso no. E’ la sfortunata F60. Lo vedo dal muso, stretto e affusolato, riconiscibile, così come l’imbocco dell’airscope, ed il cofano motore, senza F-Duct. Genè saluta il pubblico, tiene alto il V8 che strilla, prima di dileguarsi.

Che goduria poi poter vedere le Can-Am, come la Hepworth-Chevrolet GB1, ma anche la F1 che mostrò l’inizio della leggenda di James Hunt, la Hesketh, con quella livrea a base bianca pulita, flaggata solo dai colori della Union Jack. Justin Low poi passa con la Jaguar XJR12D. 750 cavalli ed una linea unica. Sembra un proiettile, con tutte le gomme posteriori carenate. Una delizia in termini di tecnica.

Passano le ore, così come anche auto, moto, storiche e non. Giacomo Agostini passeggia con la sua Yamaha, Carl Fogarty parte in burnout con una ‘semplice’ Triumph Speed triple stradale. arriva anche la regina moderna dela Formula Uno, la Mercedes F1 W05. Dal vivo, quel turbo si sente eccome.

Pura musica, come quando era passata precedentemente la Mercedes AMG GT-R presentata il giorno prima. La gente, tantissima, applaude ad ogni passaggio. C’è un senso di affiliazione. Avverti nell’aria quella passione che accomuna tutti.

Ecco, forse è questo il segreto di Goodwood. Un universo unico, particolare, che vive di leggi proprie, dove passato e futuro si mescolano. E’ una vera festa della velocità. Non c’è spazio per il superfluo, qui si vive con l’erba e le balle di paglia. Non ci sono vip club, ne distinzioni. La passione fa da protagonista. Quell’anima che fuoriesce pura.

E’ la festa dei motori, purtroppo durata troppo poco per me, costretto a ritornare in albergo con l’ultimo transfert utile. Peccato: una volta respirata quella magia, non se ne può più fare a meno.

Ci rivedremo presto Lord March. Al prossimo Festival of Speed di Goodwood.

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