Volvo all'attacco di chi difende il termico: il Green Deal è l'unica via
Volvo e Polestar chiedono a Bruxelles di non posticipare il 2035 del Green Deal: avvertono rischio per investimenti, occupazione e competitività europea contro la Cina
«Se non fosse un dispositivo obbligatorio, probabilmente solo il 30% delle nostre auto avrebbe le cinture di sicurezza». Con questa affermazione particolarmente tagliente e provocatoria, Håkan Samuelsson, amministratore delegato di Volvo, riassume efficacemente la posizione decisa e intransigente dei due costruttori svedesi nel dibattito complesso sulla transizione energetica europea. Sia Volvo che Polestar chiedono infatti a Bruxelles di mantenere fermi e inderogabili gli obiettivi del Green Deal, in particolare il divieto di vendita di nuove auto a combustione entro il 2035, avvertendo con tono inequivocabile che qualsiasi dilazione comporterebbe rischi significativi e potenzialmente devastanti per gli investimenti, l’occupazione e la competitività industriale del continente.
Il messaggio è chiaro
Il messaggio articolato dei due marchi svedesi si inserisce in un contesto politico sempre più complesso a livello europeo, dove le pressioni per allentare i vincoli normativi si scontrano frontalmente con l’urgenza strategica di accelerare l’elettrificazione per non restare drammaticamente indietro nella corsa globale guidata principalmente dalla Cina. Michael Lohscheller, CEO di Polestar, ha sottolineato con determinazione come concedere ulteriori anni ai motori termici comporterebbe perdite occupazionali massicce e un indebolimento profondo della piattaforma industriale europea rispetto alla concorrenza internazionale sempre più aggressiva.
Il panorama geopolitico attuale aggiunge ulteriori strati di complessità alla questione già delicata: sebbene storicamente svedesi e radicati nella tradizione nordeuropea, entrambi i marchi fanno capo al gruppo cinese Geely, circostanza che alcuni osservatori critici hanno interpretato come potenziale conflitto di interessi non trascurabile. Tuttavia, gli amministratori delegati mantengono fermamente di operare secondo una logica genuinamente europea, giustificando questa posizione attraverso gli importanti investimenti destinati al Vecchio Continente per la trasformazione verso l’elettrico e lo sviluppo di tecnologie sostenibili.
Le soluzioni alternative
Nel dibattito pubblico emergono anche soluzioni alternative proposte da chi sostiene un approccio meno rigido: la promozione degli efuels come ponte tecnologico, oppure una deroga temporanea per i motori ibridi, rappresentano proposte di chi sostiene una transizione più graduale e gestibile. Questi ultimi argomentano con non poca ragionevolezza che uno sviluppo più misurato potrebbe preservare i posti di lavoro nei settori tradizionali e concedere tempi maggiori e più realistici per la riconversione degli impianti produttivi, riducendo l’impatto sociale della trasformazione.
Tuttavia, per Volvo e Polestar la questione assume una rilevanza strategica cruciale e non negoziabile: procrastinare sull’elettrificazione espone a rischio concreto il recupero degli investimenti già realizzati e spalanca le porte ai concorrenti che continuano a puntare su motorizzazioni convenzionali, permettendo loro di accumulare vantaggi competitivi. Le decisioni che verranno prese nei palazzi di Bruxelles determineranno non solo il profilo ambientale della mobilità europea per i decenni a venire, ma anche le dinamiche economiche e geopolitiche del settore, dalla configurazione delle filiere produttive al ruolo dei fornitori di componenti fino allo sviluppo cruciale delle infrastrutture di ricarica che rappresenteranno la spina dorsale della mobilità sostenibile del futuro.