Cinghia a bagno d’olio, perché la brutta nomea è solo per il PureTech?
Scopri il caso della cinghia a bagno d’olio: da promessa a incubo per Stellantis, con il confronto su Ford e Volkswagen. Modelli coinvolti, cause e rimborsi
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La recente crisi che ha travolto il gruppo Stellantis mette in luce uno dei più clamorosi insuccessi tecnici del settore automobilistico degli ultimi anni: la promessa non mantenuta della cinghia a bagno d’olio. Migliaia di automobilisti, in Italia e in Europa, si sono ritrovati improvvisamente alle prese con motori gravemente danneggiati, costi di manutenzione imprevisti e un senso di sfiducia crescente verso le innovazioni non adeguatamente testate. Il bilancio di questo disastro ingegneristico è impietoso e getta un’ombra lunga sulle strategie di sviluppo e comunicazione adottate dal colosso automobilistico franco-italiano.
La tecnologia della cinghia a bagno d’olio era stata annunciata come una svolta epocale nella gestione della distribuzione dei motori moderni. I propulsori PureTech da 1.2 litri, cuore pulsante di numerosi modelli Peugeot, Citroën, DS, Opel, Fiat e persino Toyota, avrebbero dovuto beneficiare di una soluzione pensata per garantire silenziosità, efficienza e, soprattutto, una durata pari a quella dell’intero ciclo di vita del motore. Tuttavia, la realtà ha rapidamente smentito le aspettative: nel giro di pochi anni, si sono moltiplicate le segnalazioni di usura precoce, guasti improvvisi e riparazioni onerose, spesso prima dei 60.000 chilometri.
I problemi
Il cuore del problema risiede in un meccanismo tanto insidioso quanto subdolo. L’olio motore, arricchito da additivi e particelle prodotte dalla combustione, ha iniziato a interagire in modo distruttivo con il materiale della cinghia. Col tempo, la gomma si è progressivamente degradata, generando detriti che hanno ostruito i canali di lubrificazione. Il risultato? Una lubrificazione azzerata nei punti nevralgici del propulsore, con danni irreparabili a carico di componenti vitali e costi di riparazione quadruplicati per gli automobilisti. Una situazione aggravata dall’impossibilità, per molti, di prevedere o prevenire il danno in tempo utile.
La vicenda assume contorni ancora più controversi se si considera il confronto con altri costruttori. Ford, pioniera dell’impiego della cinghia a bagno d’olio nei suoi motori EcoBoost a partire dal 2012, ha sì riscontrato criticità simili, ma ha agito con maggiore tempestività, tornando alla più tradizionale catena di distribuzione senza alimentare uno scandalo di tale portata. Diversa anche la strategia di Volkswagen, che ha scelto di utilizzare questa tecnologia solo in applicazioni molto limitate sui motori TDI, riuscendo così a contenere l’esposizione al rischio e a evitare l’ondata di critiche che ha investito Stellantis.
Le iniziativi di Stellantis
Il gruppo automobilistico, invece, ha inizialmente minimizzato la gravità della situazione. Le prime risposte sono state caratterizzate da tentativi di correzione poco incisivi: si è parlato di rivestimenti protettivi innovativi e di lubrificanti alternativi, senza mai ammettere pubblicamente la reale portata del problema. Solo di recente, di fronte all’evidenza e alla pressione crescente da parte dei consumatori e delle associazioni di tutela, Stellantis ha avviato un programma di rimborso per i clienti coinvolti. Una decisione che, seppur tardiva, rappresenta un tentativo di arginare la perdita di fiducia e di risarcire, almeno in parte, i danni subiti dagli automobilisti.
Le conseguenze di questa crisi sono pesanti e si riflettono direttamente sulla quotidianità degli utenti. Gli intervalli di manutenzione sono stati drasticamente ridotti, passando da sei a tre anni, mentre i costi per le riparazioni e le sostituzioni sono lievitati a livelli insostenibili per molti. La graduale eliminazione della cinghia a bagno d’olio dai nuovi modelli Stellantis arriva ormai troppo tardi per recuperare la credibilità persa: i consumatori, sempre più diffidenti, guardano con sospetto ogni innovazione tecnica che non sia stata testata in modo rigoroso e trasparente.
Questa vicenda rappresenta un monito per l’intero settore automobilistico: la corsa all’innovazione, se non accompagnata da una scrupolosa fase di sperimentazione e da una comunicazione onesta, rischia di trasformarsi in un boomerang capace di compromettere la reputazione di marchi storici e di gravare in modo insostenibile sugli automobilisti. L’esperienza della cinghia a bagno d’olio e dei motori PureTech resterà come esempio di quanto sia fondamentale mettere la qualità e la sicurezza al centro di ogni progetto ingegneristico, prima ancora delle promesse di rivoluzione tecnologica.
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