Bernie Ecclestone contro Horner: "È stato un idiota"
Bernie Ecclestone critica la gestione di Christian Horner dopo lo scandalo Red Bull: potere, tensioni interne e il futuro della Formula 1 in bilico
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La storia recente della Formula 1 è stata segnata da episodi che vanno ben oltre le battaglie in pista, mostrando come ambizione, potere e rapporti personali possano determinare il destino di uomini e team leggendari. È il caso della clamorosa caduta di Christian Horner, fino a poco tempo fa potente team principal della Red Bull, il cui declino ha scosso l’intero paddock e acceso riflessioni profonde sulla leadership e sui rischi dell’eccessiva personalizzazione del potere all’interno di una squadra vincente.
“È stato un idiota. Un cinquantenne che pensava di averne venti. Voleva ancora fare il ragazzo.” Così, senza mezzi termini, Bernie Ecclestone ha commentato la vicenda al Telegraph, segnando la fine di un’amicizia storica e, al tempo stesso, di un’epoca per la scuderia austriaca. Parole dure, che non lasciano spazio a interpretazioni: il giudizio dell’ex supremo della Formula 1 non si limita all’aspetto umano, ma investe l’intera gestione del team, sottolineando come lo scandalo abbia messo a nudo fragilità eccessivamente celate dietro i successi.
Lo scandalo pesa ancora su Horner
Il scandalo che ha travolto Horner è esploso nel 2024, quando sono emersi messaggi inappropriati con una dipendente. Nonostante due assoluzioni formali, la pressione mediatica e le tensioni interne hanno reso inevitabile il licenziamento di Horner, segnando la conclusione di una carriera ventennale al vertice. Secondo Bernie Ecclestone, il vero errore di Horner non sarebbe stato tanto l’episodio in sé, quanto la convinzione di poter controllare ogni aspetto della squadra e delle sue dinamiche. “Era convinto di poter gestire tutto. Ma non si può dirigere a metà. O comandi o vieni mandato via”, ha sentenziato Ecclestone, mettendo in luce la trasformazione della Red Bull da team coeso a struttura fortemente personalistica.
La metamorfosi della squadra viene riassunta in una battuta amara dello stesso Ecclestone: “Non era più il Red Bull Ring, era il Christian Horner Ring.” Una frase che evidenzia quanto il carisma e la personalità di Horner avessero progressivamente oscurato la dimensione collettiva, alimentando una gestione sempre più centrata sulla figura del team principal. Ma il vero punto di svolta, secondo Ecclestone, è stata la scomparsa di Dietrich Mateschitz nel 2022. Il fondatore di Red Bull rappresentava il punto di equilibrio, l’uomo capace di anticipare le crisi e mantenere l’ordine anche nei momenti più complessi. Senza la sua presenza, il potere di Horner è cresciuto in modo incontrollato, fino a scontrarsi con una parte del management aziendale e a precipitare nel baratro.
Ora tocca a Mekies
Il palmarès di Horner resta comunque impressionante: sei titoli costruttori, sei titoli piloti e ben 124 vittorie. Tuttavia, la sua parabola si è conclusa bruscamente, con un licenziamento avvenuto mentre il contratto era valido fino al 2030. Secondo il Daily Mail, la buonuscita potrebbe superare i 66 milioni di sterline, cifra che testimonia la portata del ruolo ricoperto e, al tempo stesso, la drammaticità della rottura. Nel frattempo, la guida del team è passata a Laurent Mekies, chiamato a ricostruire l’identità della squadra e a ristabilire quell’equilibrio interno che sembra essersi definitivamente spezzato.
Le tensioni all’interno della Red Bull non sembrano destinate a placarsi. Un recente scontro verbale tra Horner e Jos Verstappen a Silverstone, riportato da Ralf Schumacher, dimostra come la frattura sia profonda e coinvolga anche figure di primo piano nell’ambiente. Il clima resta incandescente e il futuro del team è più incerto che mai, nonostante il prestigio e i successi accumulati negli anni.
Resta aperta una domanda che anima i paddock e divide gli addetti ai lavori: può un leader mantenere il proprio status quando il sistema che ha contribuito a creare si rivolta contro di lui? La vicenda di Christian Horner e della Red Bull rappresenta un monito per l’intero mondo della Formula 1: il confine tra ambizione e arroganza è sottile, e il rischio di vedere tradite amicizie e carriere, anche le più luminose, è sempre dietro l’angolo.
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