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Fernando Alonso in Formula 1: un campione da rimpiangere

Il 25 novembre Fernando Alonso si è congedato, almeno momentaneamente, dalla Formula 1. Ripercorriamo le tappe di un campione che nel bene o nel male ha sempre lasciato il segno.

Basterebbero i numeri per definire la carriera di Fernando Alonso in Formula 1: due titoli mondiali e 32 gran premi vinti in 18 stagioni.  Come numero assoluto di vittorie il pilota spagnolo si trova al sesto posto della classifica di tutti i tempi, graduatoria sempre guidata da Michael Schumacher con 91 successi e insidiata da Lewis Hamilton a quota 73 (seguiti da Sebastian Vettel a 52 e Alain Prost a 51). In rapporto ai gran premi disputati, che sono 312, la percentuale di corse vinte è del 10,26%. Ciò lo pone al 20° posto (filtrando la classifica a chi ne ha vinte almeno 10). Non pensiate che si tratti di una brutta posizione, perché sopra di lui ci sono tutti i mostri sacri. Il leader è sempre Juan Manuel Fangio col 47,06%, poi troviamo Alberto Ascari col 40,63%, Jim Clark col 34,72%, Lewis Hamilton col 31,88% e Michael Schumacher col 29,64%. Ma le statistiche non dicono tutto di questo campione che ha appena chiuso la sua avventura in Formula 1. Le partenze al fulmicotone, i sorpassi mozzafiato, le vittorie imperiose; poi, perché no, anche i team radio al vetriolo e le interviste senza peli sulla lingua. Un campione sanguigno che certamente rimpiangeremo. Tracciamo allora un profilo di uno dei migliori piloti degli ultimi vent’anni.

Fernando Alonso in Formula 1: gli inizi, dal kart alla Minardi


Fernando Alonso è nato ad Oviedo il 29 luglio 1981. La passione per le corse si respira già in famiglia, perché il padre Josè Luis, meccanico e pilota di kart, lo ha messo sul sedile fin da bambino: la strada che hanno percorso tanti altri grandi campioni prima di lui. In realtà il kart era destinato alla sorella maggiore Lorena alla quale però le corse non interessavano. Fernando invece si trovò subito a suo agio, perché vinse le prime gare all’età di 7 anni. Il suo idolo, neanche a farlo apposta, era Ayrton Senna, al punto che dipinse il proprio kart con i colori della McLaren Honda di quel periodo; sognava di emularlo, ma forse nemmeno lui immaginava quanto vicino gli sarebbe arrivato.

Fernando continuò a mietere successi negli anni successivi, in patria e fuori, finché venne notato da Adrian Campos, ex pilota Minardi in F1 e a quel tempo titolare della scuderia che portava il suo nome. Serviva un pilota per rimpiazzare Marc Gené in Formula Nissan (tecnicamente World Series by Nissan). Campos offrì un test ad Alonso, il quale lo superò in pieno, eguagliando proprio il tempo di Gené. Il salto dal kart alle auto fu egualmente positivo, perché Fernando vinse il campionato 1999. Aveva solo 17 anni.

Come premio gli fu offerto un test con la monoposto di Formula 1 della Minardi. Era un giorno piovoso di dicembre, il test fu a Fiorano, sotto gli occhi di alcuni dirigenti Ferrari. Sul bagnato Alonso girò subito 3,5 secondi più forte di tutti gli altri tester in pista quel giorno. Il direttore sportivo della Minardi, Cesare Fiorio, lo fermò subito per paura che andasse a sbattere, ma Fernando gli disse che stava solo studiando la macchina, non aveva ancora cominciato ad andare veramente forte. Più tardi Fiorio avrebbe commentato: “Ho avuto a che fare con oltre 300 giovani piloti nella mia carriera, ma nessuno mi ha impressionato come lui“.

Alonso venne ingaggiato come collaudatore. Nella stagione 2000 venne mandato in Formula 3000 a farsi le ossa alla Astromega. Finì quarto con una vittoria. Ma ormai la sua strada era tracciata. La Minardi gli fece un contratto per correre in Formula 1 nel 2001. Su una vettura non competitiva il 19enne Fernando riuscì comunque a farsi notare, ottenendo un 11° posto a Suzuka davanti a diversi piloti più esperti di lui.

Briatore lo acchiappa: la Renault e i trionfi mondiali


Questo giovanissimo talento aveva catturato l’attenzione dell’ambiente, ma il più lesto fu Flavio Briatore che gli offrì un contratto per la scuderia Renault. Nel 2002 fu impiegato come collaudatore e venne sottoposto ad intensi test. Nel 2003 arrivò il suo momento: pilota titolare di un top team. Non si fece attendere, perché alla seconda gara conquistò la pole position, in Malesia. A 21 anni, fu il pilota più giovane nella storia della F1 a centrare questo risultato. Il giorno dopo salì anche sul podio: terzo, nonostante avesse la febbre e alla macchina saltò la quinta marcia. E in Ungheria Fernando divenne il più giovane pilota vincitore di un gran premio.

Conferma quanto mai meritata. Nel 2004 Alonso non riuscì a vincere, però ottenne quattro podi e numerosi piazzamenti che gli valsero il quarto posto nella classifica finale (fu l’anno in cui Schumacher sulla Ferrari annientò la stagione, vincendo 12 delle prime 13 gare). Ormai il pilota spagnolo era maturo per il gran salto.

Nel 2005 la Renault mise insieme un’auto vincente che contese alla McLaren-Mercedes il titolo, mentre la Ferrari non fu all’altezza dei suoi recenti trionfi. In un duello fino all’ultima gara con Kimi Raikkonen, Fernando Alonso prevalse con 7 vittorie contro le 6 del rivale, oltre a qualche podio in più. Così all’età di 24 anni diventò il più giovane campione del mondo nella storia della Formula 1.

L’annata 2006 si può considerare il suo capolavoro, perché Alonso seppe fronteggiare il ritorno della Ferrari e di Michael Schumacher. Lo spagnolo e la Renault prevalsero nella prima parte della stagione, il tedesco e la rossa furono più veloci nella seconda. Alonso riuscì a rimanere sempre costante e conservò un margine risicato fino alla penultima gara in Giappone, quando un guasto al motore della Ferrari mise virtualmente la parola fine al campionato. Secondo titolo mondiale per Alonso, battendo sul campo il pilota più vincente di tutti i tempi.

La McLaren e le sofferenze con Hamilton. La parentesi Renault

Era arrivato il momento di voltare pagina. Nel 2007 Alonso accettò l’offerta di Ron Dennis per guidare la McLaren. Accanto a lui un esordiente di cui si diceva un gran bene, ma sempre inesperto di fronte al campione del mondo. Uno sconosciuto Lewis Hamilton certamente non avrebbe potuto dargli problemi. Colossale errore di valutazione: Hamilton si dimostrò subito velocissimo e privo di timori reverenziali, al punto che duellò alla pari con Alonso per tutta la stagione: i due ottennero lo stesso punteggio e pari numero di vittorie, 4. Ma tra i due litiganti (in pista e fuori) ebbe la meglio Kimi Raikkonen, il quale regalò alla Ferrari e a se stesso il titolo mondiale per un punto all’ultima gara.

Per Alonso quella stagione in McLaren fu infernale; la convivenza con Hamilton impossibile e l’armonia col team sfumata. Così lo spagnolo tornò alla Renault. Ma nel 2008 la squadra francese era un gradino sotto alle duellanti Ferrari e McLaren e alla pari con la BMW-Sauber. Fernando ottenne due vittorie ma dovette accontentarsi del quarto posto finale. Andò ancora peggio nel 2009, la vettura non era per niente competitiva, al punto che il miglior risultato per lo spagnolo fu un terzo posto.

Fernando Alonso alla Ferrari. Tante occasioni mancate


Era giunto il momento per un’altra svolta nella carriera, certamente la più ambita. Infatti arrivò l’offerta dalla Ferrari. Il 2010 si aprì nel migliore dei modi, una vittoria al GP d’esordio in Bahrain. Sembrava la volta buona per il tris iridato, invece la lotta fu durissima: tre scuderie ad armi pari, quattro piloti si contesero il titolo fino alla fine: Hamilton su McLaren-Mercedes, Sebastian Vettel e Mark Webber su Red Bull-Renault guerreggiarono con Alonso e la Ferrari senza pausa. Lo spagnolo vinse 5 gran premi e all’ultima gara ad Abu Dhabi aveva 8 punti di vantaggio su Vettel. Gli sarebbe bastato arrivare quarto anche se il tedesco avesse vinto la gara. Ma il ferrarista rimase troppo a lungo nelle retrovie senza riuscire a superare, così chiuse al settimo posto. Vettel vinse gara e titolo, soffiando ad Alonso anche il record come campione mondiale più giovane.

Nel 2011 le cose si fecero ancora più difficili. La Red Bull emerse come vettura dominante e Vettel guidò in stato di grazia per tutta la stagione, vincendo 11 gran premi e conquistando 15 pole positions. Ma il Cavallino faticò anche a raccogliere le briciole, perché anche la McLaren appariva superiore. Alonso riuscì a vincere un solo GP e ottenere parecchi piazzamenti, troppo spesso lontano dal podio. Tutto sommato il quarto posto finale in classifica va anche oltre il potenziale della macchina. Nel 2012 invece la Ferrari mise insieme una vettura competitiva, così Alonso fu in grado di lottare per il titolo contro Vettel. Nella prima parte della stagione lo spagnolo ottenne risultati migliori, vincendo 3 gran premi. Ma dopo Monza il tedesco infilò 4 successi consecutivi che gli fecero prendere il largo. Nell’ultima gara in Brasile, sotto la pioggia, amministrò il vantaggio e ad Alonso non bastò un secondo posto per strappare il mondiale a Vettel.

Nel 2013 un altro inizio sofferto ma abbastanza positivo fece sperare ad Alonso e ai tifosi della Ferrari di poter competere con la Red Bull e Vettel. Tuttavia la rossa di Maranello era sensibilmente in secondo piano rispetto alla rivale austro-francese. Se fino all’Ungheria ci si poteva illudere di essere ancora in corsa, anche se abbastanza lontano, dal Belgio in poi Vettel ammazzò il campionato, vincendo tutte le 9 corse rimanenti (ne aveva vinte altre 4). Alonso fu ancora secondo, ma con due sole vittorie e un abisso di distanza. Tale era la sua frustrazione per la differenza di prestazioni con la Red Bull che, in un’intervista in cui gli chiesero che regalo volesse per il suo compleanno, rispose: “La macchina degli altri”.

Questo è uno dei tratti del carattere di Fernando Alonso che più hanno contribuito a creargli problemi di convivenza nelle scuderie. Una durezza e una totale mancanza di diplomaticità, anche e soprattutto nelle dichiarazioni pubbliche, che molto spesso hanno indotto i dirigenti delle squadre a tenerlo lontano. L’esempio più lampante si è visto proprio in questi ultimi due anni dove nessuno dei top team, tutti con piloti in scadenza di contratto, ha preso in considerazione l’idea d’ingaggiarlo, nonostante la sua classe cristallina.

Arriviamo così all’epilogo, piuttosto amaro. Nel 2014 inizia l’era turbo-ibrida della Formula 1. I valori in campo vengono rivoluzionati. Emerge una sola dominatrice, la Mercedes. La Red Bull riesce a raccogliere le briciole, tre gran premi col giovane rampante Daniel Ricciardo. Ferrari non pervenuta, Alonso ottiene due soli podi e chiude la stagione ad un desolante sesto posto. Qui termina la sua avventura con la Ferrari.

Il tramonto alla McLaren. Indy e Le Mans


Arriva il 2015, Fernando Alonso torna alla McLaren. Arriva la Honda, eco di un’epoca leggendaria. Tuttavia il motore Honda moderno nasce proprio male: poche prestazioni e tante rotture. Per Alonso è un calvario. Diventa ormai un ritornello il suo “no power, no power”, ogni volta che il propulsore giapponese ammutolisce. Per non parlare del famoso “GP 2 engine” pronunciato nel GP del Giappone 2015, a casa Honda. Ben sette ritiri, un quinto posto come miglior risultato, 17° in classifica finale. Quasi come ai tempi della Minardi, scuderia che però non disponeva neanche lontanamente dei mezzi della McLaren. Nel 2016 le cose non vanno molto meglio. Due quinti posti, altri piazzamenti non degni di nota. Un decimo posto in classifica finale dovuto esclusivamente al suo pilotaggio.

Fernando si arrabbia e minaccia di andarsene. Lo convincono a restare solo ricoprendolo d’oro e lasciandolo libero di tentare una nuova avventura: la 500 miglia di Indianapolis, per partecipare alla quale nel 2017 rinuncia a correre a Montecarlo. Ancora su una Honda, qui però è competitivo e conduce la corsa per diversi giri, poi il motore lo beffa anche sull’ovale di Indy. Ma in F1 le cose vanno ancora peggio: rotture a ripetizione. Questa volta pone un ultimatum: un motore decente o tanti saluti a tutti. La McLaren, i cui problemi non erano solo al motore, decide di farla finita con la Honda e passa al motore Renault per il 2018.

Propulsore non all’altezza di Mercedes e Ferrari, però nemmeno tanto malvagio. La McLaren ha invece un sacco di magagne telaistiche e aerodinamiche. Alonso fa quello che può ma passa la stagione a combattere nelle retrovie come un esordiente qualsiasi. L’11° posto finale non ha valore. Unica soddisfazione la vittoria alla 24 ore di Le Mans con la Toyota. In F1 nessuna delle squadre migliori lo vuole, allora decide di salutare la compagnia. Per sempre? Mai dire mai, anche se 37 anni di età sono un po’ troppi. Ora resta il sogno di Indianapolis, per entrare definitivamente nella storia.

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