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Akio Toyoda: la transizione elettrica mette a rischio milioni di posti di lavoro

Il CEO di Toyota, e presidente dell’Associazione giapponese che rappresenta le Case costruttrici, torna sulla questione “zero emission”.

Le opinioni di Akio Toyoda sulla transizione verso l’auto elettrica sono da tempo note dall’opinione pubblica mondiale. Il “numero uno” di Toyota, che è anche presidente di Jama-Japan Automobile Manufacturers Association (l’Associazione giapponese che raggruppa le Case costruttrici nazionali) ha in più occasioni avuto un atteggiamento critico nei confronti della “spinta zero emission”.

Dopo avere avvisato i vertici del Governo giapponese che una svolta eccessivamente rapida in favore delle auto elettriche potrebbe causare dei gravi contraccolpi a livello industriale (era il dicembre 2020: il riferimento era andato alla volontà politica nazionale di vietare la vendita di autovetture a combustione a partire dal 2035), il massimo dirigente del “colosso” giapponese – che, va ricordato, è stato anche pioniere in materia di elettrificazione, con l’esordio della prima “storica” Toyota Prius ibrida, che avvenne nel 1997 – torna sull’argomento.

Carbon Neutrality da modulare sullo scenario industriale

Secondo una notizia riportata da Automotive News che riferisce di un’assemblea JAMA, Akio Toyoda è dell’avviso che il programma di transizione green indicato dal Governo giapponese (finalizzato alla carbon neutrality nel 2050 passando per una drastica riduzione delle emissioni già entro il 2030) sarebbe da articolare in relazione allo scenario industriale giapponese.

Nello specifico, il CEO di Toyota ha puntato i propri riflettori sull’asset produttivo nazionale: partendo dal fatto che l’economia del Giappone dipende in larga misura dalle esportazioni, una realtà che è già difficile mutare, la carbon neutrality fa sorgere un grave problema occupazionale. Sostiene Toyoda:

Alcuni rappresentanti politici giudicano come obsoleto il parco circolante, e premono perché tutte le autovetture vengano sostituite con altrettanti modelli elettrici. Io non la penso così. Per la protezione dei posti di lavoro e la qualità della vita dei giapponesi, ritengo che il futuro vada delineato in rapporto agli sforzi industriali che sono stati compiuti finora.

“Pensiamo ai lavoratori”

Cifre alla mano, Akio Toyoda fa presente che la produzione nazionale di autoveicoli è nell’ordine di dieci milioni di unità all’anno. di questi, circa il 50% è destinato all’esportazione. Se si stima, per il 2030, una produzione annua di otto milioni di veicoli ad alimentazione a combustione e ibrida, lo “stop” imposto per legge ad un tale quantitativo industriale non avrebbe che una conseguenza: la paralisi del mercato del lavoro.

Con più di otto milioni di veicoli in meno, le fabbriche rischierebbero di dovere rinunciare a gran parte degli attuali 5,5 milioni di posti di lavoro. Se si intende raggiungere la neutralità climatica, occorre fronteggiare l’anidride carbonica, non la combustione interna. Gli obiettivi fissati dal Governo giapponese sembrano essere più allineati con le indicazioni normative europee più che con lo scenario giapponese. In ogni Paese, l’approccio verso la carbon neutrality dovrebbe essere sviluppato in base alle situazioni locali.

Alcune cifre da tenere in considerazione

In relazione all’impatto sull’ambiente, Toyota calcola che i suoi 18,1 milioni di veicoli ibridi venduti in ventiquattro anni hanno contribuito alla riduzione di un quantitativo di CO2 corrispondente a quello di 5,5 milioni di auto elettriche. Ed è da segnalare anche la scarsa diffusione delle auto “zero emission” in Giappone: nei primi sei mesi del 2021, sono stati circa 777.000 i veicoli ad alimentazione elettrificata consegnati (contando, quindi, BEV, PHEV e Full Hybrid), cifra che corrisponde al 40% del totale nuove immatricolazioni, tuttavia le auto elettriche sono state meno di 8.500. Di queste, ben 3.200 provenivano dal mercato di importazione. Ne consegue che il 97% degli autoveicoli elettrificati consegnati nel primo semestre di quest’anno era ibrido o ibrido plug-in.

In Giappone ci sono più colonnine che auto elettriche

Le osservazioni di Akio Toyoda sembrano in effetti confermare una situazione piuttosto bizzarra: se alcuni Paesi nel mondo dispongono di poche colonnine per la ricarica in rapporto ai veicoli elettrici in circolazione, in Giappone si verifica uno scenario opposto. Gli “hub” pubblici, in virtù di un sostanzioso finanziamento statale – per una cifra che corrispondeva a circa 774 milioni di euro – accordati a partire dal 2012, sono notevolmente aumentati.

E ben di più in rapporto ai veicoli “zero emission” che attualmente circolano sull’intero territorio giapponese: il quotidiano economico The Japan Times riporta, a questo proposito, che l’incidenza del parco a zero emissioni allo scarico è dell’1% sul totale. Conseguenza: numerose colonnine per la ricarica sono inutilizzate, e messe fuori uso in quanto per molte di esse il ciclo di vita medio è di otto anni.

Lo stesso Japan Times riferisce alcuni dati diffusi dalla company giapponese Zenrin Co., dove si apprende che su base annuale (marzo 2021-marzo 2020) le stazioni di ricarica pubbliche sono diminuite a circa 29.200 unità, rispetto ad oltre 30.300 di dodici mesi prima.

I lavori di installazione di nuovi “hub” procedono senza sosta: l’obiettivo è di arrivare nel 2030 a 150.000 stazioni di ricarica, di cui almeno un migliaio saranno presenti entro il 2025 sulle autostrade nazionali. La previsione, avanzata da Tsuyoshi Ito, responsabile della Divisione Planning di e-Mobility Power (joint venture creata da Tokyo Electric Power Company e Chubu Electric Co.), è di un “boom” fra 2022 e 2023.

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