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7 giorni in auto: cosa è successo in una settimana

Tutto ciò che è accaduto nel mondo dell’automobile in una settimana, riassunto per voi.

Vendite europee ancora in discesa, nuove critiche anche italiane al blocco tedesco del programma europeo sulle emissioni di CO2, sollecitato da Mercedes e Bmw attraverso Angela Merkel, e dura presa di posizione di Bruxelles contro la Mercedes che continua a usare un gas refrigerante per i condizionatori non più a norma Ue: legittimo, quindi, il blocco francese alle immatricolazioni mentre si ipotizza il ritiro di quelle già consegnate.

Ma la notizia bomba della settimana arriva subito dopo dall’America dove la storica capitale dell’auto, Detroit, ha dichiarato la bancarotta. E’ un disastro paragonato allo Tsunami, ma per il direttore del salone che si svolge in gennaio, Rod Alberts, quello che conta di più è confermare subito che questo non impedirà il normale svolgimento della prima rassegna statunitense. Sempre a Detroit, venerdì, la General Motors ha annunciato il licenziamento del capo delle vendite della Cadillac, Chase Hawkins, per “violazioni della policy aziendale” per ricordare una volta di più che tutto il mondo è paese. In compenso, in stridente contrasto con il fallimento di Detroit, le vendite USA di luglio prevedono una crescita del 16% e un fine anno trionfale verso i 16 milioni mentre l’Europa arranca poco al di sopra dei 12.

E’ stata dunque una settimana a dir poco movimentata per l’automobile, ma particolarmente inquietante per quella europea, anche se non è la prima e non sarà l’ultima.

Cosa è successo nelle immatricolazioni auto in Europa

Martedi scorso, per cominciare, giusto all’inizio della seconda metà del mese, sono piovuti da Bruxelles i consuntivi delle immatricolazioni continentali comunicate dall’Acea (l’Associazione dei Costruttori Europei) relativi al semestre che più che una pioggia, in questo caso, possono definirsi un diluvio.

Ne ho parlato quella stessa sera in un breve speciale del TG di Rainews24, che se volete potete vedere in questa pagina, ma vale la pena aggiungere qualcosa quanto meno per valutare la realtà dei fatti in una visione più ampia della semplice congiuntura mensile.

Pochi numeri dovrebbero essere sufficienti ad interpretare la costanza e l’entità della curva discendente nel settore: anzitutto, dal 2007 ad oggi le perdite cumulate hanno raggiunto la quota di 4 milioni di auto nell’area estesa della UE più i tre Paesi dell’Efta (Islanda, Norvegia e Svizzera). Una cifra già di per se stratosferica pari, per intendersi, a circa la metà dell’intero gruppo Volkswagen. Di questi, un milione netto è mancato nel solo 2012 e ora va aggiunto un altro mezzo milione circa (460.000 unità) nel solo primo semestre di quest’anno: segno di una inarrestabile accelerazione del declino visto che il – 6,7% del semestre 2013 si confronta con un anno già in calo dell’8%. In buona sostanza il bilancio provvisorio supera di poco i 6,4 milioni di auto e conferma fin da ora il secondo anno europeo ben al di sotto dei 13 milioni complessivi, allargando sempre di più lo squilibrio fra vendite e capacità produttiva e mettendo quindi sempre più a rischio fabbriche e lavoro quasi ovunque.

Per ora, fra i mercati chiave dell’Unione, l’unico che viaggia in controtendenza da un anno e mezzo a questa parte è quello inglese (+10% a fine giugno) sostenuto da una politica opposta a quella dell’Eurozona, mentre anche la grande Germania ha imboccato quest’anno la via della discesa, 330.000 unità, che per ora è contenuta al -8,1% compensando nella media dei sei mesi alti e bassi poco rassicuranti. Nessuno stupore, quindi, sulle fortissime difficoltà francesi, per ora migliori in volumi rispetto all’Italia ma in flessione dell’11,2% con meno di 1 milione di unità nel semestre europeo. Il piccolo mercato spagnolo, dal canto suo, è riuscito invece a pareggiare con l’aiuto degli incentivi concessi ma ormai in via di esaurimento.

Riemerge così la domanda di sempre: fino a che punto l’auto, antico simbolo della libera mobilità privata, cede alle forti pressioni della crisi economica e non paga, invece, il prezzo di un disamore indotto dai mille problemi che essa comporta a fronte di un uso troppo limitato e di scarsa soddisfazione. Sono in molti, ormai, a indicare la seconda ipotesi che tende a fare ogni giorno più proseliti cominciando proprio dagli italiani ormai circondati, come direbbe Grillo, da governi che sembrano decisi a escludere l’intero comparto dagli obiettivi degni di attenzione se non per aumentare ogni giorno tasse inesigibili con la caduta dei consumi. Forse non è un caso che fra i tanti talk show e articoli di giornale in cui si dibatte anche il famoso sesso degli angeli, l’argomento è quasi inesistente, a parte le quotidiane minacce di Sergio Marchionne.

A proposito del gruppo Fiat, tornado all’Europa, la debolezza crescente delle marche nazionali è ormai conclamata: la marca Fiat è al 4,9%, tutto il resto è sotto 1 punto di quota ed escludendo il mercato italiano siamo intorno al 3% complessivo per il gruppo: ciò vuol dire un contributo infimo all’export nazionale che può spiegare meglio l’atteggiamento politico italiano nei confronti dell’auto.

Per il resto lo scacchiere delle marche non cambia, con il gruppo Volkswagen che si aggiudica un filo meno del 25% di tutto il mercato Europeo e una riduzione minima del 3,7% rispetto al 2012. Al secondo posto, con tutti i suoi guai finanziari, il gruppo PSA Peugeot-Citroen all’11,1% di quota, ha perso meno di un punto ma il 13,3% in volumi. E’ andata meglio alla Renault (-4,8%) in terza posizione davanti a Ford e GM, ponendo l’auto francese subito dietro il gruppo VW con un 20% di quota. Fra le premium, Mercedes riesce a piazzare un + 3,5% sempre a un’incollatura da Bmw da cui la separano solo 8.000 macchine, mentre anche Land Rover e Jaguar marciano col segno più. Resta ora da vedere se l’estate alimenterà un po’ di voglia d’auto e soprattutto se il salone di Francoforte (12-22 settembre), con una ulteriore ondata di novità, riuscirà a dare un’ultima spinta sull’impervia salita dei mercati europei.

Cosa è successo a Detroit: la città in fallimento

Sarà una bella grana anche per Obama, il fallimento da Guinness dei Primati della storia americana. Venti miliardi di dollari di debiti sono davvero tanti e si sono accumulati nel corso di mezzo secolo. Il punto chiave è che questa volta si tratta di un crollo annunciato da molto tempo e ricorda la maggior parte di omologhi casi di aziende italiani.

Per chi è stato almeno una volta a Detroit non è certo una sorpresa: i pochi abitanti e la quantità di interi palazzi abbandonati colpisce l’occhio anche del turista più distratto. Una grande città industriale che in 60 anni perde oltre un milione di abitanti, da 1,8 milioni agli attuali 700.000 cova in sé una male fisiologico che porta inevitabilmente al collasso, ed è anche significativo che a nulla servì neppure il trasferimento, 10 anni fa, del quartier generale della General Motors al “Renaissance Center” nella torre più alta del Michigan in piena città e a pochi passi dalla “Cobo Hall” il quartiere fieristico in cui si svolge anche il salone dell’auto.

I problemi, naturalmente sono e sono stati moltissimi, ma mi limiterei ad una riflessione collegata ai “Three big” di Detroit, GM, Ford e Chrysler che ne hanno gestito indirettamente le sorti. L’industria automobilistica americana, concentrata proprio a Detroit, ha vissuto anni di enorme potere economico e sociale. C’è stata la crisi, è vero, ma è cosa ben più recente e gli ultimi anni non sono stati quelli del crollo di oggi, per di più dopo tre anni dall’inizio della ripresa che oggi raggiunge nuovi ottimi traguardi. Come diceva Andreotti, a pensar male non si sbaglia mai.

Hanno detto:

Romano Valente direttore generale Unrae; Roma, martedì 16 luglio

“Possiamo auspicare che nell’ambito dei provvedimenti in corso di discussione in sede parlamentare, relativi alla crescita del Paese e all’occupazione, si possano adottare almeno misure che riguardino i finanziamenti a tasso agevolato per i beni strumentali, e quindi anche per gli autoveicoli, e che, più in generale, si riduca la pressione fiscale”

Come dire: non ci resta che sperare nei miracoli. E’ sempre più evidente la mancanza di un serio rapporto fra il settore auto e le istituzioni in assenza di un ruolo impegnato e credibile dell’industriale nazionale.

Andrea Orlando, Ministro dell’Ambiente; Roma, mercoledì 17 luglio

“’È un errore che l’Europa continui a rinviare l’impegno per ridurre le emissioni delle automobili. Rallentare le azioni che consentono la riduzione delle emissioni in tutti i campi significa rendere ancora più difficile la sfida che tutti i Paesi hanno di fronte per contrastare i cambiamenti climatici”.

Meglio tardi che mai: ci ha messo 22 giorni il nostro giovane ministro per prendere posizione ma almeno lo ha fatto. Anche se non lo ha seguito nessuno. Sono sempre più convinto che in Italia dell’ecologia non freghi nulla a nessuno.

Commissione ambiente UE; Bruxelles mercoledì 17 luglio;

Per i veicoli non conformi alla legge europea:

“Devono essere prese misure per portare tali veicoli in conformità, compreso il ritiro dei mezzi non conformi già venduti sul mercato”

Confermata quindi la legittimità del blocco francese alle Mercedes equipaggiate con un gas refrigerante dei condizionatori non conforme alle norme europee. Almeno a Bruxelles tengono duro anche se la legge del più forte supera tutte le altre. Soprattutto quelle scritte. Naturalmente in Italia “quelle” Mercedes si possono vendere e consegnare tranquillamente. Ci mancherebbe altro…

Vorrei comunque ricordare che gli atteggiamenti arroganti di Mercedes e Bmw nulla tolgono alla qualità e importanza dei loro prodotti. Tuttavia proprio per questo, mi aspetterei dai primi della classe un maggior rispetto delle regole concordate e non la politica dei ben noti “furbetti del quartierino” di puro stampo nazionale. Altrimenti la smettano di ergersi a grandi paladini dell’ecologia. Stoccarda dice che i nuovi refrigeranti sono “pericolosi”: strano che siano i soli a dirlo. A meno che il pericolo non riguardi i relativi costi…

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