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Automobilisti VS Pedoni VS Ciclisti: la guerra infinita

Similmente alla migliore tradizione politica italiana, continua l’eterna sfida fra le categorie di utenza della strada: nessuno perde un colpo e tutti hanno ragione. Ma è davvero così?

Si tratta di un dibattito diventato ormai stagionale: l’inizio e la fine delle belle giornate primaverili ed estive coincidono con il principio ed il termine dell’eterna diatriba fra automobilisti, ciclisti e pedoni. Ultima in ordine di tempo è la “contesa elegante” fra due illustri penne del Corriere della Sera, Maria Laura Rodotà, ciclista convinta e sostenitrice dei diritti della categoria, e Pierluigi Battista, che invece non pedala più e ritiene intollerabile il comportamento stradale “libertino” di alcuni ciclisti, siano essi part-time o a tempo pieno. Più precisamente il motivo del contendere è l’utilizzo del marciapiede da parte delle biciclette, una questione che, pur nella sua apparente semplicità, riesce a dividere le opinioni di tutti gli utenti della strada in maniera quasi estremista.

Nel suo breve articolo, la Rodotà, istituendosi portavoce del pensiero di chi ha scelto la bici per i propri spostamenti urbani, ha saputo toccare questioni che fanno dell’evidenza la loro arma più affilata:

Siamo meno pericolosi – per dire – di quelli che denunciano la nostra maleducazione e poi parlano nonstop al cellulare in auto, rischiando un paio di vite a telefonata. A proposito – se non si fosse capito – noi saliamo sui marciapiedi per non morire; non per sfrontatezza, ribellismo generico, scarso rispetto dei pedoni. Che invece stimiamo, e tentiamo di evitare in tutti i modi. Però adesso sta scoppiando una guerra tra poveri, e ci stiamo tutti radicalizzando. I veterani come i neofiti/e, che pedalano perché è bello ma anche perché sono in spending review. Per risparmiare sulla palestra o sulla benzina. E non hanno scelta, nelle nostre città, spesso, i mezzi pubblici non aiutano; di certo non aiutano i ciclisti: se si è dietro un bus che si ferma conviene salire sul marciapiede, piuttosto che superare e forse venire uccisi, oppure venire uccisi lentamente dallo scappamento. E forse, per sopportarci, i pedoni potrebbero fare due conti. Ogni ciclista in più è un motore inquinante in meno o un posto a sedere in più sui mezzi. Ogni potenziale ciclista che vorrebbe usare la bici ma teme insulti e Suv è un’auto in più che gira e una forza civilizzante in meno tra la marmaglia ciclistica (quelli che rinunciano sono tipi miti; migliorerebbero la nostra immagine).

In ogni città – New York inclusa, ciclistizzata dal sindaco Bloomberg, guardate cosa è successo a Nicole Kidman – ci si può scontrare. Ma a Milano e Roma va peggio. I ciclisti sono senza diritti e senza ciclabili. Si arrangiano per necessità e passione, però si incattiviscono. Però. Ciclisti, pedoni, Comuni non dovrebbero pensare a Manhattan, ai paparazzi e alle dive. Casomai, informarsi su Seattle, dove ciclisti e pedoni hanno sempre la precedenza; e dove i consulenti ciclisti di un sindaco biciclettaro hanno studiato percorsi che sfruttano le pendenze più dolci; e tantissimi pedalano, in una città più ripida di Roma. O anche valutare città americane più squattrinate e sfrontate. Dove, sui marciapiedi, trionfano i cartelli «Share the Road», condividete la strada; ciclisti e pedoni lo sanno e si adattano, più o meno (i percorsi ciclabili sono meglio)”.

Mi sono preso la libertà di mettere in evidenza quelli che, a mio avviso, sono i capisaldi inattaccabili del pensiero della Rodotà: da automobilista, motociclista ma talvolta anche ciclista, mi risulta davvero difficile darle torto; la Rodotà espone problematiche realmente tangibili e su cui si può sindacare molto poco.

Ma Pierluigi Battista non ci sta

Ecco cosa risponde alla Rodotà Pierluigi Battista:

“Sono un ex ciclista, ma solo perché osteopati, fisiatri e fisioterapeuti dicono unanimemente che per i lancinanti dolori alla zona lombo-sacrale il pedalare non è il trattamento migliore. È l’unica ragione che mi ha allontanato dalla bicicletta. Non c’è malanimo o pregiudizio, dunque, se si chiedono e si pretendono dai ciclisti in città comportamenti rispettosi, non prepotenti, non arroganti, nei confronti soprattutto di chi cammina. Invece prevale in molti ciclisti dell’ultima ora una specie di presunzione di extra-territorialità. Andare sui marciapiedi non si fa: ma loro lo fanno lo stesso, certi dell’impunità. Sfrecciare a grande velocità quando c’è densità di traffico e di persone che semplicemente passeggiano non si fa: eppure le biciclette si producono in acrobatici zig zag tra i passanti. Poi bisognerebbe pure intendersi su cosa vuol dire «zone pedonalizzate». Sulle zone «pedonalizzate» ci vanno le biciclette, ma i pedoni vanno a piedi, non in bicicletta. Quando si fanno notare queste cose, la frangia dei ciclisti ultrà replica spesso nel più puerile dei modi: «E le automobili, allora?». Come se la presenza di un Nemico immaginario dovesse giustificare ogni sopraffazione concepita e attuata a due ruote? Pedalando vorticosamente, vado addosso a qualcuno: e le automobili allora? Raggiungo velocità notevoli: e le automobili allora? Intanto, però, le automobili, almeno questo, non fanno la gimcana sui marciapiedi. E poi, perché mai un automobilista dovrebbe minimizzare i danni prodotti da un altro automobilista? Non esiste il sindacato di chi guida le automobili, non si capisce perché dovrebbe nascere la corporazione di chi pedala. E dunque? E dunque chi va in bicicletta è come tutti gli altri, e deve sottoporsi alle regole universali, cioè erga omnes, automobilisti, ciclisti e pedoni. Chi esce di casa con un bambino che va a scuola non deve vivere nell’angoscia. E non si può sopportare che un pericolo silenzioso, sibilante, imprevedibile, senza il rombo di un motore ma proprio per questo più insinuante e insidioso, venga a turbare la normalità della città e dei cittadini. Non esiste nessun diritto al marciapiede selvaggio: dovrebbe essere scontato, speriamo che il neo-sindacato dei ciclisti non voglia difendere l’indifendibile”.

Come per la Rodotà, ho messo in evidenza i punti del pensiero di Battista con i quali mi trovo più in accordo. Che poi sono anche gli unici… Leggendo le sue righe mi sono trovato onestamente disorientato: con l’utopia che “rispettosi, non prepotenti, non arroganti” dovrebbero essere tutti i comportamenti che regolano le relazioni umane, incluse quelle fra ciclisti, pedoni ed automobilisti, trovo francamente difficile dare una collocazione reale a quanto scritto da Battista. Percorro tutti i giorni circa 20 chilometri di strade urbane, periferiche e centrali, passando talvolta per le centralissime vie dello shopping romano, ad orari del mattino e del pomeriggio anche molto diversi: eppure non ho mai visto “sfrecciare a grande velocità” i ciclisti, specie “quando c’è densità di traffico e di persone” (che poi nella capitale è uno scenario perpetuo), men che meno cimentandosi in “acrobatici zig zag tra i passanti” sui marciapiede. Per la verità di biciclette non se ne vedono quasi nei quartieri dove si concentrano uffici e negozi; e le pochissime circolanti certo non generano dati statistici che permettano di formulare generalizzazioni: le stesse con cui Battista accusa la categoria dei “pedalatori”. E’ altresì innegabile che le colpe degli altri non possono diventare l’egida sotto cui perseguire le proprie piccole illegalità: mi riferisco al “le automobili allora?” ed al fatto che la legge rimane la medesima per tutti. Ma dovrebbe comunque avere quell’elasticità necessaria per valutare in maniera davvero appropriata ogni situazione.

Tolleranza e rispetto: la base del patto di stabilità pedonale?

La “verità vera” sembra, a mio giudizio, porsi nel mezzo delle considerazioni messe in evidenza delle due note penne di cui abbiamo trattato in precedenza, ma con una polarità ben definita e rivolta verso i pensieri della Rodotà: le parole della giornalista romana trovano paradossalmente sponda nelle riflessioni di Battista e nella loro confutabilità. Quelle dell’editorialista del Corriere della Sera appaiono valutazioni che scadono nel melodrammatico, perdendo il saldo ancoraggio con la realtà dei fatti, come nel passaggio “chi esce di casa con un bambino che va a scuola non deve vivere nell’angoscia. E non si può sopportare che un pericolo silenzioso, sibilante, imprevedibile, senza il rombo di un motore ma proprio per questo più insinuante e insidioso”: vivere nell’angoscia per colpa delle biciclette? Le stesse che, secondo Battista, sono solite “turbare la normalità della città e dei cittadini”. Sui mezzi di informazione si apprende spesso di pedoni investiti ed uccisi da auto lanciate a velocità folli, di vetture che non rispettano gli attraversamenti pedonali e su questi ultimi mietono le loro vittime; di auto che perdono il controllo e finiscono per falciare i malcapitati a bordo strada, spesso nemmeno soccorsi; di automobilisti che svoltano senza azionare gli indicatori di direzione (magari proprio perché i conducenti delle stesse parlano al cellulare…); di guidatori che fanno inversione ad U “a sorpresa”, con tutte le conseguenze possibili, ne sono piene le strade. Tuttavia di biciclette che si rendono protagoniste di questi misfatti non ne ho mai sentito parlare. A meno che “la corporazione di chi pedala” non abbia trame così fitte da finire per influenzare anche il mondo dell’informazione; supposizioni quasi fantascientifiche che, più che avere il sapore del sofisticato film “Inception”, sanno del tragicomico “Mars Attack”.

E se è vero che i giustificativi che usano i “biciclettari” per difendere la loro condotta, chiamando inspiegabilmente in causa gli automobilisti, non sono accettabili, è altrettanto vero che l’abitudine ad osservare mezzi su quattro ruote (talvolta delle stesse forze dell’ordine) in doppia fila, auto parcheggiate sul marciapiede o in corrispondenza delle rampe per disabili, ha reso questi comportamenti molto scorretti “socialmente accettabili”, anestetizzando impropriamente l’opinione pubblica a riguardo e spingendo i pedoni stessi ad una “patologica arrendevolezza” verso questi fenomeni di inciviltà. Bici che fanno altrettanto o parzialmente queste cose che “non si fanno” non ve ne sono: e allora come è possibile che buona parte dei mali dei pedoni risultino quasi complessivamente causa di chi pedala? Ad ogni modo la questione Ciclisti-versus-Pedoni-versus-Automobilisti rasenta, come detto in apertura, la stagionalità: sembra quindi si sia persa quella “filosofia del buon senso” che dovrebbe risolvere agilmente questioni come quella delle bicilette sul marciapiede, apparentemente non fondamentali per la salvaguardia dei cittadini. Parliamo di quella tolleranza che permetterebbe ai pedoni, perlomeno a quei pochissimi a cui interessa, di chiudere un occhio sugli “sconfinamenti” dei ciclisti sul marciapiede. Se non altro per la preoccupante carenza di piste a loro dedicate, presenti invece nelle più evolute città del mondo. Ma parliamo anche, allo stesso modo, di quel rispetto che dovrebbe imporre agli “ospiti pedalanti” del marciapiede di prestare estrema attenzione, evitando ad esempio le demonizzate gimcane fra i pedoni.

L’auto rimane un mezzo di trasporto fondamentale

Mazda 3 2014 prezzi e prova su strada

No, non siamo diventati biciblog.it e non vogliamo demonizzare in alcun modo l’utilizzo dell’auto o il comportamento di alcuni automobilisti che, purtroppo, pubblicizzano in maniera negativa tutta la categoria, esattamente come fanno gli slalomisti dei due pedali con la rispettiva. Senza dubbio andare in bici fa risparmiare un bel po’ sulla spesa carburante, contribuisce a ridurre l’anidride carbonica emessa nell’ambiente ed al mantenimento della forma fisica. Studi recenti dimostrano come nelle distanze sotto i 6/7 km la bicicletta riesca ad essere addirittura più veloce dell’automobile, senza tener conto della facilità con cui si può parcheggiare. Lo scorso anno nella città di Roma si è svolta addirittura una gara fra bici ed auto, organizzata da #salvaiciclisti, Legambiente e Fiab: su un percorso di 7 chilometri, le bici sono arrivate per prime con un vantaggio tra i 15 e i 16 minuti. La contesa è stata avviata a metà pomeriggio, prima dell’ora di punta, coinvolgendo tre auto ed altrettante biciclette. La possibilità di poter usufruire di aree ciclopedonali e di essere immuni agli “imbottigliamenti” urbani ha fatto la differenza in favore delle due ruote senza motore, in un percorso circolare calcato in pieno centro storico, dal Palazzo delle Esposizioni a Piazza del Popolo e ritorno. Inutile poi soffermarsi sul confronto fra spese di acquisto e gestione di una bici e quelle di un’automobile.

Tuttavia l’auto rimane un “mezzo eccellente” in una moltitudine di situazioni ed evenienze che la rendono ancora indispensabile, nonostante tutto. In primis è un problema di distanze: non tutti hanno la fortuna di abitare vicino al proprio posto di lavoro e chi, come nel mio caso, deve affrontare lunghi percorsi nelle più nevralgiche della arterie urbane, non può “permettersi” la bicicletta per i suoi spostamenti. Poi c’è il problema “geografico”: tolti i giovani ed i ciclisti full-time, quanti possono fisicamente affrontare le salite di una città non costruita in pianura? Quanti possono usufruire della bici senza che le buche e le asperità della strada causino loro problemi alla schiena? Battista in questo senso è stato più che sincero. Quando piove o fa molto freddo? Quando si hanno figli molto piccoli da portare a scuola, magari in zone dove non esiste una ciclabile? La spesa settimanale al supermercato, i viaggi fuori porta, le domeniche al mare? Le emergenze che richiedono la velocità dell’auto? Un caleidoscopio di situazioni “non biciclettabili” che non sempre si possono affrontare con i mezzi pubblici. Specie quando questi ultimi risultano inefficienti. In ultima analisi esiste la passione per le quattro ruote, quella di centinaia di migliaia di persone, come i lettori di autoblog.it. Ma questa è un’altra storia. Le nostre proposta per rendere più sicura la passione o la necessità della bicicletta le avete già lette su questo stesso sito un paio di settimane fa.

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